TIBET: i monaci buddhisti che affrontano con cuore impavido il PCC

Il Tibet viene occupato dalla Cina nel 1949 e nel 1951 viene incorporato nella Repubblica Popolare Cinese. Il contrasto tra i Monaci e il Pcc ha il suo apice nel 1959 con l’insurrezione di Lhasa e la fuga del Dalai Lama in India, e appare non aver mai fine.

La tensione nel territorio invaso è costantemente doloroso. Le auto immolazioni sono diventate il simbolo di un intero popolo. L’unica possibilità che hanno i tibetani per attirare l’attenzione dei grandi mezzi di comunicazione. Ma la sordità , cecità e il loro mutismo voluto è miserevole,sconvolgente che rende nullo ogni sacrificio.

Dal 2009 il numero di tibetani auto-immolati sono diminuiti; 25 l’anno scorso e 8 quest’anno per un totale di 133, ma la Cina ha aumentato duramente le forme di sicurezza e le misure punitive nella regione tibetana a seguito di una diminuzione del numero di proteste di auto-immolazioni. Lo afferma la Commissione esecutiva del Congresso sulla Cina (CECC), nella sua relazione annuale del 2014.

Togliersi la vita, anche per un buddhista, è un atto sacrilego che testimonia il livello di disperazione dei tibetani e il loro senso di abbandono da parte della comunità internazionale.

La prima auto immolazione si è consumata nel marzo del 2010, nelle vicinanze del monastero di Kirti,nella regione del Sichuan. Alcune settimane dopo l’esercito cinese assedia il monastero di Kirti e 300 Monaci vengono deportati in “Campi di rieducazione” in luoghi segreti.

Le notizie delle tragedie giungono fino a noi dalla comunità degli esuli.

Le rivolte dei Monaci, dei Tibetani si susseguono giornalmente nelle città, nei villaggi sparsi in tutto il Tibet, e le torce umane non si sono mai fermate.

Pechino dimostra di non essere nelle condizioni di far cessare le proteste nonostante i suoi continui inasprimenti delle ostilità.

I media non possono e neanche vogliono raggiungere le zone della rivolta. Le cancellerie delle super potenze mostrano una totale insensibilità nei confronti di questo genocidio culturale .

Le sommosse nella quasi totalità dei casi sono represse nel sangue, con ferocia inaudita e Pechino lo ha fatto con circospezione.

Il Pcc deve rinunciare ad imporsi con l’uso sistematico della forza e della violenza, che sono cose irragionevoli. Questi atteggiamenti sono in opposizione con tutti gli sforzi per istituire un dialogo costruttivo e creano paura.

Ma lo spirito tibetano da questo tipo di abusi , non sarà mai intimorito. E’ un principio ben radicato nel buddhismo. I Monaci buddhisti, i Tibetani stanno portando avanti con cuore impavido, una rivolta non violenta in un clima conciliatorio, e i fatti tristi riportati dalle poche notizie diffuse ne sono una testimonianza.

Perché occorre sostenere questo tipo di cause?

Perché se non agiamo sosteniamo coloro secondo i quali si può raggiungere i propri obiettivi con l’uso della forza , della violenza e dei soprusi.

Gianni Taeshin Da Valle, Laogai Research Foundation,15/10/2014

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