Tibet è la seconda regione meno libera al mondo: quasi dimenticata

Il Tibet è stato classificato nel 2021 come la seconda regione meno libera al mondo secondo un rapporto dell’organismo di vigilanza Washington Freedom House che tiene sotto controllo i diritti e le libertà globali. Il rapporto “ Freedom in World 2021: A Leaderless Struggle for Democracy” , si basa su uno studio sulla libertà politica in tutto il mondo. Ai paesi e ai territori è stato assegnato un punteggio compreso tra zero e cento, dove zero indica i meno liberi e 100 i più liberi.

Secondo il rapporto al Tibet è stato assegnato -2 su 40 sui diritti politici, e 3 su 60 per le libertà civili, ricevendo un punteggio totale di 1 su 100. In testa alla classifica troviamo la Siria. Ciò rispecchia il crudele trattamento riservato ai tibetani all’interno del Tibet. Si tratta, in effetti, di una regione interdetta ai giornalisti e agli estranei e, quindi, è un muro invalicabile.

L’occupazione cinese del Tibet viola anche l’articolo 2 della Carta delle Nazioni Unite, che richiede espressamente agli Stati membri di «astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato».

Allo stesso modo, l’Articolo 1 del Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali afferma che «Tutti i popoli hanno il diritto all’autodeterminazione. In virtù di tale diritto, determinano liberamente il proprio status politico e perseguono liberamente il proprio sviluppo economico, sociale e culturale».

Si legge nel rapporto che il Tibet è governato dal dispotico Partito Comunista Cinese con sede a Pechino, con il potere locale in mano a dei funzionari del partito cinese. Vengono negati i diritti fondamentali, le autorità sono scrupolose e molto accurate nel sopprimere qualsiasi segno di dissenso dei tibetani, comprese le manifestazioni di credo religioso e di una identità unicamente di questo popolo. Le politiche invitano a migrazioni da altre parti della Cina, riducendo sensibilmente l’etnia tibetana nella popolazione.

Non c’è libertà di movimento in Tibet. In questo contesto, il documento afferma «viene sistematicamente violato con l’imposizione di restrizioni esplicite, comprese le direttive locali che vietano i viaggi all’estero, la confisca dei passaporti e l’utilizzo di minacce e intimidazioni ai tibetani in Tibet perché non viaggino»

Radio Free Asia ha riportato recentemente che nel Sichuan è stata demolita (vedi video) una scuola tibetana gestita da dei monaci buddisti costringendo gli stessi abitanti a partecipare alla demolizione forzata. Si tratta della scuola Gaden Rabten Namgyaling gestita dal monastero attiguo è stata ristrutturata tra il 2014 e il 2018.

Le autorità cinesi hanno cercato a lungo di limitare le dimensioni e l’influenza dei monasteri buddisti tibetani, tradizionalmente al centro dell’identità culturale , dell’identità nazionale tibetana. Sono stati allontanati alcuni giovani monaci studenti.

Desidero ricordare le strategie di sorveglianza orwelliana del Pcc in Tibet, l’emarginazione della lingua tibetana, la distruzione della credenza buddista nella reincarnazione e la rinascita, l’adulterazione delle scorte alimentari, l’esistenza di un sistema sanitario precario, la pratica della tortura e la devastazione e il degrado ambientale.

E’ doveroso riportare alla luce le auto-immolazioni, soprattutto dopo la fallita rivolta del 2008, scatenata da monaci che hanno chiesto la libertà per il Tibet e il ritorno di Sua Santità il Dalai Lama. La recente auto-immolazione del tibetano di 26 anni Shurmo del il 17 settembre 2015. Viene stimato che ci siano stati 155 casi noti di auto-immolazione.

Sta svanendo la memoria collettiva di quello che sta accadendo in Tibet, diventa impellente ricordare alle persone questa dittatoriale aggressione quasi dimenticata. SAVE TIBET!

Gianni Da Valle -Arcipelago laogai: in memoria di Harry Wu, 23/11/ 2021

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