Il Paese del Dragone ha un triste primato. È infatti la nazione che esegue più sentenze capitali al mondo. Il numero delle persone condannate ogni anno è così elevato da superare quello di tutti i Paesi in cui esiste la pena di morte messi insieme.
I reati che possono essere puniti con la pena capitale [1]sono in tutto 46 e includono tanto i crimini considerati più gravi secondo gli standard internazionali quanto quelli che si possono definire minori. In Cina si può morire per omicidio, ma anche per furto in appartamento; per terrorismo, ma anche per rapina; per stupro, ma anche per falso in bilancio. Rimane tuttavia difficile definire il numero esatto di persone condannate e punite con la morte ogni anno. Alcuni reati, infatti, sono coperti dal segreto di stato, una misura che rende impossibile quantificare con certezza l’entità del fenomeno.
In Cina esiste un database nazionale pubblico delle sentenze giudiziarie, il China Judgments Online, ma il sistema presenta così tante omissioni da risultare poco credibile. Secondo un’indagine condotta da Amnesty, infatti, molte delle condanne a morte eseguite riportate dai giornali e finite su internet non vengono effettivamente inserite nella banca dati, vanificando ogni sforzo di portare alla luce la verità. Basti pensare che per il 2016 il sistema informatico riporta solo 26 condanne eseguite, a fronte delle 335 di cui è possibile trovare traccia su Baidu, il motore di ricerca più usato nel Paese (Fonte: I segreti mortali della Cina [3], Amnesty International).
Nell’ultimo decennio la condanna della comunità internazionale e le crescenti pressioni interne hanno spinto la Cina a fare alcuni passi in avanti sul tema della pena capitale. L’accusa di uccidere persone senza un giusto processo, di estorcere informazioni ai prigionieri con l’uso della tortura e soprattutto i numerosi casi venuti alla luce di persone uccise per reati capitali e poi risultate innocenti, hanno portato il Governo a cambiare strategia.
La Cina ha così cercato di restituire credibilità alle autorità giudiziarie inaugurando la politica di governo “uccidere meno, uccidere con cautela”. Il primo passo di questa linea politica si è concretizzato nel 2007, quando la Corte suprema del popolo ha avviato la revisione di tutte le sentenze capitali emesse dalle corti di grado inferiore. Il secondo passo è stato invece quello di modificare il codice penale per rimuovere alcuni reati capitali. Nel 2011 e nel 2015, quindi, il Congresso nazionale del popolo si è riunito e con una serie di emendamenti al codice penale ha rimosso complessivamente 22 reati soggetti a pena capitale. Negli ultimi 7 anni il numero dei crimini per cui è prevista la pena di morte è così sceso da 68 a 46.
“Ci sono stati cambiamenti legislativi, ma non è abbastanza”, ha detto a Business Insider il portavoce di Amnesty International Italia Riccardo Noury. “Gli effetti positivi delle misure introdotte dalle autorità cinesi sono difficilmente dimostrabili. Se il Governo afferma che le condanne a morte sono diminuite possiamo solo presumere che sia così, ma non possiamo verificare in modo quantitativo nessuno dei progressi dichiarati proprio perché non esistono prove in merito. Sono stati fatti dei passi avanti, ma in assenza di una maggiore trasparenza, di comunicazioni ufficiali alle Nazioni Unite, di database completi, non possiamo certificare niente. Inoltre qualunque modifica legislativa parte da una situazione di violazione dei diritti umani così grave(come il trapianto di organi dai prigionieri uccisi per reati capitali, ndr) che una semplice riforma non basta”.
Ogni tentativo di migliorare il sistema rischia di essere poco incisivo a fronte della mancanza di trasparenza. Finché non esisterà una banca dati completa con i numeri esatti delle persone condannate e uccise ogni anno sarà impossibile fare confronti e capire se il Paese sta andando avanti o meno.
Business Insider,8/02/2018
English article,CNN:
China’s deadly secret: More executions than all other countries put together