Esecuzioni capitali in Cina [1]: 10.000 esecuzioni capitali l’anno
La Cina resta paese affascinante e ricco di contraddizioni. Culla del maoismo, che entusiasmò più di un comunista italiano (in Europa esso si concretizzò in Albania dove, infatti, stanno benissimo), è oggi una tigre rampante del capitalismo globale.Il paese dei Ming, però, ha ancora qualche lieve problema con la dichiarazione universale dei diritti umani.
E così, apparirà ai più alquanto severo il codice di procedura penale di Pechino, per il quale sono passibili di pena di morte una pletora impressionante di contravventori.
Dall’omicidio (anche preterintenzionale), allo stupro (in Italia avremmo esecuzioni di massa), od un rapporto anche consensuale con una ragazza di meno di 14 anni (art.236); da chi falsifica le banconote (art. 170 – nello Stivale questi li premiano, ma è un’altra storia), a chi arreca seri danni ai beni dello Stato (alto capitolo che provocherebbe un’ecatombe).
Le sentenze di morte, manco a dirlo, vengono applicate con rara solerzia (il processo equo è sovente un sogno), spesso accompagnate dall’immancabile contesto partecipativo del pubblico. Elemento indispensabile per sottolineare tanto il consenso della massa, quanto l’utilità pedagogica dell’evento. Alla stregua del ceffone che ogni padre mollava al figlio, allorquando ruzzolava la testa del condannato dal Papa re, in Campo de Fiori.
Le cifre, mai totalmente verificate, parlano chiaro.
Mentre Amnesty International denuncia una media di 1.500 esecuzioni l’anno (quelle certificate dal teatrino di cui sopra), un membro del Congresso del Partito del Popolo, tale Chen Zhonglin, assicura una cifra annuale di circa 10.000 unità.
Volendo sottilizzare, malgrado l’impressionante numero di esecuzioni Pechino non è la peggio messa a livello planetario. Avendo una popolazione complessiva di 1,3 miliardi di abitanti, la percentuale di condanne eseguite in rapporto agli abitanti si diluisce.
Risulta dunque che, peggio di lei, agiscono gli immancabili totalitarismi islamici (primato all’Iran teocratico, tallonato però dall’Arabia Saudita, per nulla contenta di lasciare la ribalta agli odiati sciiti), chi non ha massa critica per diluire le percentuali (Singapore) ed i paesi non proprio liberali (Sierra Leone, Bielorussia, Giordania).
Consola, dunque, sapere che, praticamente da subito, le esecuzioni cinesi avverranno tramite iniezione letale (già sperimentata dal 1997) in luogo della classica revolverata alla nuca (con addebito della pallottola alla famiglia del condannato). Probabilmente il costo del veleno sarà maggiore ma, c’è da giurarlo, i familiari lo sosterranno con maggior sollievo, sapendo che il loro caro non è dipartito come un maiale accoppato a metà dicembre.
Resta un’altra chicca, misteriosamente ignorata dai funzionari di Amnesty.
Vige in Cina una inveterata usanza per i condannati a morte. Quella di poter smembrare il condannato al fine di utilizzarne gli organi per i vari espianti. Una rottamazione, insomma. Questa pratica venne “apparentemente” morigerata nel 2005, a seguito delle ripetute lagne internazionali, subordinandola al consenso del condannato. Ora, di grazia, potrei nutrire qualche “lievissimo” dubbio sulla procedura di raccolta del consenso in un paese dove, a riffe o a raffe, si “terminano” più detenuti che in un tutto il resto del pianeta?
Fonte: Giustizia Giusta, 18 giugno 2009
http://www.giustiziagiusta.info/index.php?option=com_content&task=view&id=3150&Itemid=1 [2]