Pechino, la questione calda è solo rimandata

La Cina darà il «contributo dovuto» al taglio globale delle emissioni di gas di serra, ha detto Xie Zhenhua, capo della delegazione cinese alla conferenza Onu sul clima conclusa ieri a Doha. «Alla fine faremo quel che ci spetta». Ma qual è il «dovuto» da parte del paese che emette, in termini assoluti, più gas di serra di ogni altro paese al mondo? Tutto indica che questa sarà una delle questioni calde dei prossimi tre anni, in vista del negoziato su un nuovo accordo globale sul clima. Un’analisi di Lord Stern, ex capo economista della Banca Mondiale (e autore di uno studio importante sui costi del cambiamento climatico) spiega che la Cina e altri paesi a rapida industrializzazione dovranno fare tagli sostanziali nelle loro emissioni di anidride carbonica per evitare che il pianeta raggiunga livelli di pericolo. Pechino ha finora obiettato che spetta ai paesi industrializzati assumersi la responsabilità maggiore: hanno emesso gas senza limiti durante il loro processo di industrializzazione, provocando un cambiamento del clima che ora i paesi in via di sviluppo subiscono. Xie ha precisato che la Cina ha già investito 2 trilioni di yuan (circa 220 miliardi di euro) tra il 2005 e il 2010 per tagliare le emissioni, escluse le rinnovabili, e investirà il doppio di quella cifra tra il 2011 e il ’14 includendo nel conto le rinnovabili. La Cina, ha continuato Xie, ha così creato 28 milioni di posti di lavoro, che diventeranno 40 milioni. «Se vogliamo stabilire un obiettivo a lunto termine per il taglio delle emissioni dovreno inevitabilmente trovare un modo di allocare le emissioni. Ma questa allocazione deve essere equa, non va persa di vista l’equità», ha insistito il rappresentante cinese. Todd Stern, il capo negoziatore degli Stati uniti, si è detto disponibile a discuterne: è importante che le parti discutano a fondo di «equità e delle responsabilità comuni e differenziate», ha detto durante i lavori, «perché se non troviamo un terreno di intesa comune non riusciremo mai a raggiungere un accordo». Ma sono schermaglie: la cosa non poteva essere risolta a Doha e resterà come il punto più contenzioso dei negoziati a venire.

«Non pagheremo per il debito climatico dei paesi sviluppati»
La Bolivia si distingue, tra i paesi «in via di sviluppo», per la radicalità e fermezza tenuta durante la conferenza dell’Onu sul clima conclusa ieri a Doha. Ecco stralci dal discorso di José Antonio Zamora Gutierrez, ministro boliviano dell’Ambiente e dell’Acqua. «Il pianeta e l’umanità sono a rischio di estinzione. Foreste, biodiversità, fiumi, oceani, la comunità umana sono in pericolo. (…) Un modello di civiltà sprecone, escludente, rapace ha dato ricchezza a pochi e povertà ovunque, producendo inquinamento e crisi climatica. Non siamo venuti qui per negoziare il clima o per proteggere il business che aggrava la crisi climatica distruggendo Madre Terra. Siamo venuti con soluzioni concrete. Il clima non è in vendita, signore e signori!! (…) Non pagheremo per il debito climatico dei paesi sviluppati verso quelli non sviluppati. I primi devono assumersi tutte le responsabilità. Ci sono paesi poveri che mentre stanno facendo grandi sforzi per ridurre le emissioni, pagano anche il prezzo di una crisi climatica che ogni giorno porta siccità, uragani, inondazion, rendendo i poveri più poveri. I paesi impoveriti e in via di sviluppo hanno una grande sfida di fronte: sradicare la miseria. Dovranno far fronte a una crisi del clima di cui non sono responsabili e al tempo stesso assicurare salute, educazione, energia, acqua, infrastrutture, lavoro, case, ricostruzione dopo gli eventi estremi…. Denunciamo quei paesi che spingono per i meccanismi di mercato, già rivelatisi inefficaci. (…) Non permetteremo di sostituire con il commercio del carbonio i doveri dei paesi sviluppati. Le nazioni sviluppate devono guidare le azioni di mitigazione con passi concreti e quelle in via di sviluppo devono fare la loro parte sulla base della loro capacità e dei finanziamenti e tecnologie che saranno loro accordati. Abbiamo anche proposto un “Meccanismo congiunto per la mitigazione e l’adattamento” che comprende una gestione sostenibile delle foreste non basata sul mercato bensì sulle comunità indigene e contadine. La nostra visione, in Bolivia, è il viver bene, un’alternativa culturale e di civiltà al capitalismo; verso un equilibrio armonioso fra società e natura».

Marinella Correggia

Fonte: Il Manifesto, 9 dicembre 2012

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