
E a Busto i «cento» vanno in trincea
Si sono riuniti in un capannone industriale di Busto Arsizio, nel Varesotto, i cento imprenditori del tessile italiano che ieri hanno lanciato un «j’ accuse» alla grande industria della moda e delle griffe. «Gli stilisti - ha riassunto Roberto Belloli, a capo della tessitura Aspesi che ha ospitato l’ assemblea - continuano a far produrre in Cina e Thailandia applicando l’ etichetta made in Italy». E bypassando quindi i fornitori nazionali, da cui acquisterebbero semplicemente i campionari da far poi replicare all’ estero, spesso a costi decisamente più contenuti. «I contadini del tessile» è il titolo dell’ incontro, a cui hanno partecipato imprenditori lombardi, veneti, emiliani, piemontesi e toscani, dall’ hinterland milanese fino al distretto di Prato. «Contadini» perché i cento capi azienda chiedono una legge per la tracciabilità del prodotto come il ministro delle Politiche agricole Luca Zaia ha già fatto per l’ olio italiano. Una richiesta a cui ha subito risposto, presente anche lui tra le mura del capannone, il deputato leghista Marco Reguzzoni (foto): «Sono disponibile a firmare un disegno di legge sulla tracciabilità del prodotto tessile italiano: avete ragione voi a dire che se una maglietta griffata di un marchio italiano è prodotta in Cina non può essere considerata made in Italy». Non chiediamo «aiuti statali di vario genere, dalla rottamazione agli incentivi alle defiscalizzazioni», ha voluto precisare Belloli. Il prossimo appuntamento? Una nuova manifestazione, a settembre. Ed è stato deciso di dare vita a un comitato, e di avviare incontri con i rappresentanti degli stilisti.
Fonte: Corriere della Sera, 17 luglio 2009