Mani cinesi sul continente nero

Un breve tour di quattro Paesi, per siglare accordi di cooperazione, concedere aiuti e rassicurare l’Africa sulle intenzioni del Pechino. Stavolta, però, petrolio e ricchezze naturali non c’entrano. Il presidente cinese Hu Jintao, dalla scorsa settimana in visita in Senegal, Mali, Tanzania e Mauritius, ha scelto volutamente di recarsi in quattro Paesi poveri di risorse per ribattere ai critici della politica cinese, che molti ritengono orientata esclusivamente a ottenere materie prime a basso costo. E per sottolineare come, nonostante la crisi economica mondiale, la partnership tra Cina e Africa non subirà conseguenze.

Per suggellare le sue parole, il presidente Hu ha scelto la maniera più eclatante: lo scorso venerdì, nella capitale maliana Bamako, il capo di stato cinese ha posto la sua firma sull’accordo per la costruzione del “ponte sino-maliano dell’amicizia“, un’opera lunga 2 chilometri e mezzo e del costo di 75 milioni di dollari, definita da Hu “il più grande regalo della Cina” all’Africa occidentale. In Senegal, il presidente ha concesso un totale di 90 milioni di dollari in cooperazione, finanziamenti e investimenti, tra cui figurano quello il rinnovo del parco autobus e la costruzione di un teatro nella capitale Dakar. Mentre a Dar es-Salaam, la capitale della Tanzania, Hu si è presentato con 22 milioni di dollari in aiuti, inaugurando un nuovo stadio da 55.000 posti costruito, neanche a dirlo, grazie a contributi cinesi.

E mentre il presidente si prepara a visitare le Mauritius, ultima tappa del suo viaggio, i messaggi lanciati durante la sua visita fanno già discutere gli analisti. Non solo petrolio e risorse naturali, dunque: per Hu, Pechino è interessata a una partnership commerciale più completa con il continente africano, che comprenda progetti infrastrutturali, aiuti allo sviluppo, potenziamento dei rapporti culturali e riduzione del debito. Tutti obiettivi, ha detto il presidente, che non verranno meno neanche ora che la crisi economica sta facendo sentire i suoi effetti sui Paesi in via di sviluppo. L’interscambio tra Cina e Africa, cresciuto di dieci volte dal 2000 ad oggi e giunto alla ragguardevole cifra di 107 miliardi di dollari, non dovrebbe quindi essere in pericolo.

“Gli aiuti e i finanziamenti cinesi sono accolti dall’Africa meglio di quelli occidentali, perché vengono concessi senza grandi condizionamenti politici” spiega a Panorama.it l’economista Ed Kutsoati, docente presso la Tufts University di Boston. “Sta poi ai Paesi africani diversificare la propria offerta economica, investendo in campi come quali sanità, istruzione e infrastrutture, per garantirsi un futuro economico”. Dopo anni di investimenti cinesi, infatti, l’Africa sta cominciando a conoscere i lati negativi di questa alleanza. Buona parte delle “donazioni” o dei finanziamenti cinesi comprendono infatti progetti inutili o poco produttivi, come palazzi presidenziali e stadi, che hanno uno scarso effetto sull’economia dei singoli Paesi. Inoltre, per realizzare queste opere vengono impiegate imprese (cinesi) che si portano dietro la manodopera, lasciando a bocca asciutta gli operai locali. Effetti denunciati da alcuni politici e sindacati africani negli anni passati (memorabili i disordini scoppiati in Zambia qualche anno fa), e che sul lungo periodo potrebbero intaccare l’aura di Pechino.

Panorama, 17 febbraio 2009

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