Le mire della Cina sull’Africa: pronti 2.500 milioni di dollari
La Cina ha pensato di costruire cinque zone economiche esclusive ( Zes) africane ad uso e consumo esclusivo di imprenditori e capitali cinesi. Oggi Pechino si è convinta che l’Africa possa offrirle gli strumenti e le risorse necessarie a risolvere parte dei suoi problemi.
La Cina è arrivata in Africa alla fine degli anni ’90, e da allora la sua espansione nel continente nero non ha mai subito nessuna battuta d’arresto. Paesi come Angola, Etiopia, Nigeria, Sudan; Zambia e Zimbabwe, in cui la presenza cinese è già solida, non saranno più presi di mira solo per le materie prime le risorse energetiche che possono esportare, ma anche per le opportunità di investimnti industriali,in infrastrutture, nel settore agricolo e per i mercati che possono offrire. Sembra quasi che Pechino abbia capito che la sua strategia economica africana potrà avere successo solo se diversificata. Già nel settembre 2009 il Ministro per lo Sviluppo Economico cinese ha approvato un finanziamento di 450 milioni di dollari per realizzare una grande Zes “mineraria” in Zambia. Nello stesso mese è stata inaugurata la seconda Zes nella Repubblica di Mauritius, in cui verranno investiti 750 milioni di dollari nei prossimi dieci anni nell’intento di trasformare quest’area in un hub per la produzione di tessuti, prodotti elettronici e farmaceutici. Le altre Zes verranno invece costruite in Nigeria, Etiopia ed Egitto. In Nigeria arriveranno 500 milioni di dollari per una zona manifatturiera ed estrattiva. In Etiopia 100 milioni per un parco industriale specializzato nella lavorazione del ferro. In Egitto 700 milioni per una Zes situata a sud del canale di Suez in cui non è ancora chiaro quale sarà l’attività prevalente. Ma è facile intuire che un hub in Egitto sarà utile ai cinesi che vogliono raggiungere i mercati dell’Europa e del Mediterraneo. Per un totale di 2500 milioni di dollari che non potranno non avere un impatto significativo sullo sviluppo del continente africano, e non soltanto per le centinaia di migliaia di posti di lavoro che verranno creati nelle Zes orientali. Ma anche per la rivoluzione infrastrutturale che i cinesi dovranno necessariamente continuare ad alimentare se vogliono far arrivare sui mercati di tutto il mondo le produzioni realizzate negli stabilimenti africani. Vero che se i leader e le popolazioni africane saranno in grado di gestire il loro rapporto con la Repubblica popolare il continente nero potrebbe trarre numerosi vantaggi da questo nuovo sistema di collaborazione. Ma è altrettanto vero che Pechino sta rischiando molto: l’Africa è nota per la sua instabilità politica, per la difficoltà di reperire forza lavoro qualificata e per le proteste anticinesi che spesso infiammano le aziende in cui gli operai locali sono pagati una miseria e sono consapevoli di non poter ambire a ricoprire, nel medio e nel lungo periodo, posizioni manageriali. Contemporaneamente, non va dimenticato che dall’Africa la Cina importa già il 20% del fabbisogno energetico nazionale, e a fronte dell’aumento del costo del lavoro in patria, ha necessariamente bisogno, per rimanere competitiva, di spostare alcune produzioni all’estero. Insomma, Cina e Africa hanno tanto da guadagnare. In un regime di piena collaborazione tutto da costruire.
Fonte: Panorama. it, 10 agosto 2010
Articoli correlati:
Condividi:

Condizioni di utilizzo - Terms of use |
---|
Potete liberamente stampare e far circolare tutti gli articoli pubblicati su LAOGAI RESEARCH FOUNDATION, ma per favore citate la fonte. |
Feel free to copy and share all article on LAOGAI RESEARCH FOUNDATION, but please quote the source. |
![]() Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 3.0 Internazionale. |