Le donne, “motore” della dissidenza cinese

Nella Giornata internazionale delle donne “dovremmo onorare di più il numero crescente di donne in prima fila nel movimento a difesa dei diritti umani in Cina, che spesso incontrano ostacoli tremendi nella loro ricerca di giustizia”. Lo dice oggi Renee Xia, coordinatore internazionale di Chinese Human Rights Defender, una Organizzazione non governativa che opera a favore dei diritti umani in Cina.

Nel Paese asiatico sono numerose le donne impegnate nel campo, ma i loro sforzi passano talvolta sotto silenzio. Un motivo è che il più delle volte esse mantengono un profilo basso e cercano di evitare l’attenzione dei media, ma spesso vivono anche nell’ombra di mariti “ingombranti”, in quanto famosi dissidenti a loro volta.

Eppure le donne cinesi sono impegnate in ogni frangente del movimento a difesa dei diritti umani, e hanno avuto ruoli di primaria importanti in alcuni dei casi più importanti nella storia del Paese. Alcune, come Liu Jie, lavorano con coloro che presentano petizioni al governo centrale. Li aiutano a organizzarsi e a proteggersi dalla polizia, cercando di garantire la consegna dei loro reclami. Nel 2007, Liu ha scritto una lettera aperta al Congresso comunista – firmata da 12.150 questuanti – chiedendo riforme legali e politiche.

Altre usano le possibilità fornite dal proprio lavoro per parlare di abusi ai diritti umani. Ad esempio Ai Xiaoming, che insegna all’università Sun Yat-sen ed è una nota regista, ha girato lo scorso anno “I nostri bambini”, documentario che parla del terremoto che ha colpito nel 2008 la provincia del Sichuan. Nel film, scaricabile online, si vede tutto il dramma dei genitori che hanno perso i figli nel crollo delle scuole locali.

Infine ci sono quelle donne che lottano, esattamente come i mariti, nella promozione della democrazia tramite riforme politiche. Nel gruppo originale di firmatari di “Carta 08” ci sono molte donne: fra queste Woeser, scrittrice tibetana; Liu Di, blogger e attivista di Pechino e Shen Peilan, che a Shanghai lotta per il diritto alla terra.

Ovviamente questo impegno è malvisto dal governo centrale cinese, che non esita a comminare le stesse punizioni riservate agli attivisti uomini. Chinese Human Rights Defender pubblica una lista di donne dissidenti attualmente in carcere, con motivazioni farsa o senza aver subito un regolare processo. Fra queste vanno segnalate Duan Chunfang, attivista sanitaria di Shanghai, rapita dalla polizia il 3 luglio del 2009; Fan Yanqiong, blogger di Nanping, ha pubblicato articoli contro la corruzione locale ed è stata arrestata il 26 giugno 2009.

Sempre come per gli uomini, le donne dissidenti subiscono anche molestie di vario genere da parte della polizia. Oltre la già citata Ai, e le decine di dissidenti che vivono nell’ombra, va ricordata Ding Zilin (nella foto): la leader delle “Madri di Tiananmen” vive nel mirino costante degli agenti, che cercano con le minacce di bloccare il suo lavoro di ricerca e documentazione dei fatti del 1989.

Fonte: AsiaNews, 8 marzo 2010

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