Land grabbing, l’accaparramento della terra nei Paesi poveri. Anche gli italiani fanno land grabbing.

Un’immagine potente per puntare l’attenzione su un fenomeno nascosto ma che si svolge alla luce del sole. Alla luce del sole africano. Si chiama land grabbing (“terra carpita, accaparrata”) e si riferisce agli accordi aventi a oggetto l’acquisto di milioni di ettari di terreno nei Paesi poveri da parte di multinazionali dell’agribusiness, di potenti gruppi finanziari o di agenzie governative straniere, principalmente appartenenti a Paesi quali l’Arabia Saudita, la Cina, la Corea del Sud, il Qatar, gli Emirati Arabi.

Nella foto: Etiopia, Awash, nei pressi di Amibara e la riserva naturale di Aledeghi. Un operaio durante la semina per talea della canna da zucchero. Questo territorio rientra nel progetto di espansione di 20.000 ettari delle piantagioni della compagnia governativa Metahara Sugar Factory, per il potenziamento della produzione di zucchero e biofuel. © alfredobini/cosmos

Tale operazione – che in Africa vede coinvolti paesi come il Madagascar, il Ghana, il Mozambico, il Sudan e l’Etiopia – non mira certo a “nutrire il pianeta” (come vuole il titolo dell’Expo di Milano) bensì ad arricchire le multinazionali che investono e ad avvantaggiare i Paesi ricchi. Il land grabbing si presenta insomma come un’ultima versione del neocolonialismo, che priva della loro terra i pastori e i piccoli coltivatori locali, oltre a comportare l’abbattimento di foreste e il sequestro delle zone di pascolo, l’erosione del suolo, l’accaparramento dell’acqua e la perdita della biodiversità.

Parlarne e raccontarlo non è facile, anche perché spesso è difficile accedere a informazioni dettagliate su espropriazioni e attività delle multinazionali. Entrare nelle vicende di questa realtà è stato il lavoro di anni di Alfredo Bini, fotografo e documentarista. Una testimonianza che sarà ospitata alla Galleria San Fedele di Milano dal 5 maggio fino al 5 giugno prossimo. Il titolo della mostra – a cura di Gigliola Foschi – è “Land grabbing or land to investors?“.

Una mostra fatta di immagini forti, ognuna delle quali rappresenta una storia. Ognuna delle quali è una denuncia. Privare delle fonti d’acqua, disgregare l’agricoltura tradizionale, spostare famiglie e popolazioni, sradicare abitudini e culture. E tutto questo per il profitto di pochi. “Questo è il land grabbing – dice Alfredo Bini – una devastante politica alimentare basata sull’accaparramento delle terre altrui“.

Anche gli italiani fanno Land Grabbing

“ Il Fatto Quotidiano” del 06/09/2014 riporta alcuni casi, tra cui:

Il caso più discusso di land grabbing italiano è quello della Senhuile-Sénéthanol, a cui lo Stato senegalese ha regalato 26 mila ettari in una ex riserva naturale a Nord del Paese, nella regione dello Ndiael. Non paga nulla per occuparli. La società è al 51% controllata dall’italiana Tampieri e al 49% è di proprietà di un gruppo senegalese, Sénéthanol, appunto, nata con lo scopo iniziale di produrre biocombustibile.

Questa società ha un assetto nebuloso: è controllata per la maggior parte da una società offshore, Abe international. Il vecchio direttore esecutivo, l’imprenditore israelo-brasiliano Benjiamin Dummai, è stato arrestato a Dakar lo scorso maggio con l’accusa di aver rubato 200 mila dollari di proprietà di Senhuile. “L’errore è stato stare troppo lontano dal Senegal”, dichiara Davide Tampieri, il neo direttore.

Finora la società ha già investito 15 milioni di euro per coltivare riso, arachidi, mais e forse semi di girasole. Mai pensato ai biocombustibili, giurano, e sui risultati che stentano ad arrivare si giustificano così: “È una terra difficile da lavorare”. Tampieri è sicuro di rientrare nell’investimento vendendo i beni agricoli al mercato interno. A giugno, però, di risultati ancora se ne vedevano pochi.

La ong internazionale Action Aid ha condotto una campagna contro il land grabbing dell’azienda: secondo Action Aid, la Senhuile non ha cercato il confronto con la popolazione, tanto che un collettivo di 37 villaggi ha firmato un documento per chiedere la chiusura. A fine giugno società e ong hanno fatto un incontro in cui Action Aid ha chiesto maggiori informazioni sul confronto con i villaggi e Tampieri si è detta disponibile a collaborare. Il progetto, quindi, prosegue, con scopi agricoli……[…]

Continua la lettura su “Il Fatto Quotidiano”:

Fonti: Voci Globali (05/05/2015), Il Fatto Quotidiano

Laogai Research Foundation,06/05/2015

Articoli correlati:

English article, Vandana Shiva,Seed Freedom:

Condividi:

Stampa questo articolo Stampa questo articolo
Condizioni di utilizzo - Terms of use
Potete liberamente stampare e far circolare tutti gli articoli pubblicati su LAOGAI RESEARCH FOUNDATION, ma per favore citate la fonte.
Feel free to copy and share all article on LAOGAI RESEARCH FOUNDATION, but please quote the source.
Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 3.0 Internazionale.