L’altra Cina in mostra alla Biennale. Un padiglione nel nome di Ai Weiwei

Avrà filo da torcere, la Cina, alla Biennale di Venezia che si aprirà il primo giugno con il grande assente-presente, l’artista cinese Ai Weiwei, da mesi recluso per un capo d’imputazione mai dichiarato dal regime: libertà d’opinione e lotta per i diritti civili. In particolare questa 54esima Biennale farà da volano a quel conflitto interno che dilania il mondo culturale cinese, fra arte «ufficiale» e arte indipendente: qui, a Venezia, schierate su due fronti contrapposti, ma entrambi liberi, appunto, di manifestarsi, come democrazia vuole. Incontriamo il curatore indipendente Wang Lin, per parlare dell’altra Cina, di quel padiglione Fuoribiennale e di quegli artisti non allineati che lui presenta. Qual è stato il punto di partenza di questa sua mostra, Cracked culture? «Quando abbiamo saputo che c’era una piattaforma Fuoribiennale abbiamo subito colto questa opportunità. Come si sa il padiglione ufficiale è sotto il diretto controllo del governo cinese, e non mostra la realtà dell’arte contemporanea del Paese. Gli artisti scelti gravitano attorno all’Accademia Centrale di Belle Arti di Pechino, il più grande art college della Cina, e rappresentano i dettami del governo. E anche la commissione che li ha scelti è composta da professori di quella stessa Accademia. Qui a Venezia esporrà anche lo stesso artista principale dell’Accademia, Pan Gong Kai. E quello che lui e gli altri artisti scelti dai curatori governativi fanno, non c’entra nulla con la vera arte di oggi in Cina. Al padiglione cinese presentano una falsificazione». Quindi il meglio e il nuovo dell’arte cinese lo si vedrà in mostra a Palazzo Giustinian Recanati (sede del liceo artistico a Dorsoduro). «Dalla mia prospettiva, assolutamente sì; non ho scelto artisti che obbediscono al volere del governo cinese, che ne subiscono il controllo, è per questo che il nostro padiglione può invece dire qualcosa di vero sullo status dell’arte e sulla società contemporanea in Cina. Ai curatori indipendenti come me, non allineati, è impossibile lavorare per il padiglione ufficiale. Il sistema del nostro Paese è molto wired. Ma le persone fuori dal sistema sono relativamente aperte, io credo che il mondo debba conoscere come è veramente l’arte cinese di oggi,cosa che non è possibile vedere al padiglione ufficiale. Noi abbiamo dei valori veri da trasmettere. La verità è che un certo numero di artisti sta perseguendo un’idea di libertà all’interno del sistema. La Cina è una nazione veramente molto complicata, con una sequela di situazioni molto diverse fra loro. Ai Weiwei è una di queste chiavi. Io ho scritto saggi su questo artista fin dall’inizio della sua carriera, ho esposto sue opere nelle mostre che ho curato. Ai Weiwei è l’artista più coraggioso tra quelli migliori che ha la Cina. E allo stesso tempo lui è il migliore tra gli artisti cinesi più coraggiosi». Lei dov’era durante le manifestazioni in piazza Tien Anmen? «Lì, a protestare, a oppormi alla corruzione dei governanti e dei burocrati. Era una manifestazione patriottica. E protestavo pensando ai miei studenti, perché già insegnavo. Sono stato filmato e identificato». Il governo esercita un controllo capillare, ma talvolta le maglie si allentano. Mi spieghi come funziona la censura che, a rigor di logica, avrebbe dovuto bloccare le opere che lei espone a Venezia…. «La Cina è un vasto continente, e può capitare che le persone del governo locale di una regione abbiano posizioni diverse, più aperte, verso l’arte contemporanea. Il potere è rigidamente centralizzato, ma noi ci siamo aperti economicamente al mondo. E tutti i conflitti in Cina nascono da questa dicotomia. Con la censura funziona così: se alla dogana c’è una persona aperta, tutto può filar liscio. E a noi è andata bene con tutte le opere, questione di fortuna, ma avevamo preparato anche molta molta documentazione per il dipartimento culturale e per i doganieri. La Cina è un paese con molte restrizioni ma anche con molte chances. Per essere critici d’arte in questo Paese occorre avere idee, essere coraggiosi e pazienti. E amare l’avventura». Ai Weiwei, arrestato e messo in prigione da mesi, sta diventando un eroe internazionale, speriamo non fino a lasciarci la vita. «Ha agito apertamente contro il governo. Ha pubblicato senza mezzi termini le sue opinioni su internet, nel suo blog. E’ stato molto duro. Noi abbiamo saputo dal governo che Ai Weiwei è stato messo in prigione per altre ragioni, per frode fiscale. E questo ci permette di continuare a dire al mondo intero che Ai Weiwei è un grandissimo artista». E’ chiaro a tutti, da tempo, che c’è in ballo la vita dell’artista, e la mobilitazione è costante e generale specie negli Usa. Per questo l’indignazione innescata da quanto ha scritto il critico Francesco Bonami (“artista diversivo e non sovversivo”) plaudendo altresì all’ arresto di Ai Weiwei ha generato sul Corriere una scottante presa di posizione da parte di un altro critico, Demetrio Paparoni, che ora aggiunge: «In Cina mi è stato più volte suggerito di scrivere quelle stesse cose che Bonami ha scritto, lasciandomi capire che ne avrei tratto un beneficio per il mio lavoro in loco». Ma nella vita è più che mai importante decidere se voler stare dalla parte delle vittime. O dei carnefici.

Francesca Pini

Fonte: Il Corriere della Sera, 30 maggio 2011

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