AMNESTY denuncia le multinazionali: i bambini muoiono per estrarre il cobalto dei telefonini

Un rapporto di Amnesty International mette in evidenza lo sfruttamento del lavoro minorile per produrre il cobalto utilizzato dalle multinazionali per produrre telefonini e batterie auto.
“This is what we die for” è il nome del rapporto di Amnesty International in cui viene ricostruito il percorso del cobalto che viene estratto in Congo fino all’arrivo alle grandi multinazionali di apparecchi elettronici e fabbriche automobilistiche.
Il percorso del Cobalto
In Congo sono tante le miniere di Cobalto dove lavorano uomini in condizioni spaventose e soprattutto tra i minatori ci sono tanti bambini. Amnesty ha incontrati molti di questi bambini e tutti raccontano le loro giornate lavorative fatte anche di 24 ore chiusi in miniera.
Tra loro c’è Paul, un bambino di 14 anni: lavora in miniera da 2 ed ha ormai i polmoni ridotti in brandelli. Come Paul, l’Unicef conta almeno 40mila bambini costretti a lavorare in un ambiente insalubre come quello di una miniera e nell’ultimo anno soltanto ne sono morti almeno 80. Morti che pesano sui 125 miliardi di dollari di fatturato delle multinazionali di prodotti elettronici.
Amnesty denuncia che il cobalto estratto in Congo rappresenta almeno la metà della produzione mondiale di cobalto utile per le batterie al litio. Il cobalto passa per intero attraverso la Congo Dongfang Mining controllata dal gigante cinese della Zheijang Huayou Cobalt Ltd. Una volta lavorato, il cobalto viene venduto a 3 società che si occupano della produzione di batterie per smartphone e automobili: due si trovano in Cina, la Ningbo Shanshan e la Tianjin Bamo, la terza invece si trova in Corea del Sud, la L&F Materials. A loro volta queste ultime riforniscono le aziende produttrici di articoli elettronici e automobili.
Amnesty interroga 16 multinazionali sul cobalto
A seguito di questo studio la Amnesty ha contattato 16 multinazionali che dalle ricerche risultano clienti delle tre aziende asiatiche produttrici di batterie al litio: Ahong, Apple, BYD, Daimler, Dell, HP, Huawei, Inventec, Lenovo, LG, Microsoft, Samsung, Sony, Vodafone, Volkswagen e ZTE.
In una intervista a Radio Popolare, Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia, afferma: “Delle 16 aziende interpellate da noi di Amnesty International, una ha ammesso la relazione, quattro hanno risposto che non lo sapevano, cinque hanno negato di usare cobalto della Huayou Cobalt, due hanno respinto ogni evidenza di rifornirsi di cobalto della Repubblica Democratica del Congo e le altre hanno promesso indagini”.
La conosciuta Apple ha affermato di aver iniziato a lavorare proprio in questo periodo per chiarire da quali fonti arriva il cobalto presente nei prodotti che commercializza. Si può dire comunque che Amnesty ha evidenziato un processo informativo ben poco trasparente come anche il fatto che nessuna azienda abbia praticamente saputo indicare con chiarezza da dove proviene il Cobalto utilizzato.
Riccardo Noury della Amnesty ha concluso la sua intervista affermando: “Riteniamo che sebbene il cobalto non sia tra i minerali oggetto di una normativa specifica che dovrebbe impedire di rifornirsi di materie prive provenienti da zone di conflitto, le aziende dovrebbero comunque seguire gli standard internazionali dell’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico, ndr) e dell’Onu che richiedono di fare ricerche lungo la filiera e di adottare rimedi nel caso si verifichino violazioni dei diritti umani”.
Le multinazionali non possono più “non sapere”
Il rapporto della Amnesty sulla provenienza del cobalto degli apparati tecnologici e sulla situazione di sfruttamento minorile nelle miniere in Congo, non ha avuto al momento la forza di cambiare le cose, ma sicuramente un effetto è evidente. Sempre citando le parole di Riccardo Noury si può ormai affermare che “le aziende menzionate nel rapporto di Amnesty International non potranno più dire ‘non sapevamo’
The Social Post,11/04/2016
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