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La Cina riavvia i rimpatri forzati di rifugiati in Corea del Nord

Almeno 1.170 nordcoreani [1]affrontano torture e abusi sessuali se rimandati indietro. Da mesi, i nordcoreani che vivono in Corea del Sud [2] e che hanno parenti detenuti in Cina implorano aiuto a funzionari governativi, diplomatici stranieri, agenzie delle Nazioni Unite e altri.

Le foto dei rifugiati nordcoreani aiutati dalla Human Rights Association in Corea sono in mostra a Seoul, Corea del Sud, l’11 giugno 2019. © 2019 Josh Smith/Reuters

Sperano che la pressione internazionale possa dissuadere le autorità cinesi dal rimpatriare forzatamente i loro parenti e altri rifugiati in Corea del Nord.

Le preoccupazioni tra i parenti sono aumentate la scorsa settimana quando le autorità cinesi hanno rimpatriato con la forza quasi 50 rifugiati nordcoreani che ora affrontano torture [3], incarcerazioni, violenze sessuali e lavori forzati. Il governo nordcoreano ha riaperto i suoi confini il 14 luglio dopo averli chiusi all’inizio del 2020 a causa della pandemia di Covid-19, aumentando il rischio di rimpatri forzati. Le paure delle famiglie sono cresciute poiché, secondo quanto riferito, le autorità nordcoreane stanno infliggendo punizioni più severe a chiunque tenti di fuggire dal paese.

I quasi 50 rifugiati rimpatriati sono le ultime vittime degli sforzi di Pechino per dissuadere i nordcoreani dal fuggire in Cina per sfuggire alle orribili condizioni dei diritti umani in patria. Sulla base di informazioni provenienti da fonti con contatti locali, Human Rights Watch ritiene che il governo cinese stia attualmente trattenendo almeno 1.170 nordcoreani. Questi includono 450 uomini nordcoreani in una prigione di Changchun, provincia di Jilin, che stanno scontando condanne per presunte attività criminali, che saranno espulsi dopo aver completato le loro pene. Ci sono anche 325 rifugiati nordcoreani nella città di Tumen, 47 nella contea di Changbai, 104 nella città di Linjiang nella provincia di Jilin, 180 a Dandong e 64 a Shenyang nella provincia di Liaoning.

Il governo cinese etichetta regolarmente i nordcoreani come “migranti economici” illegali [4] e li rimpatria forzatamente in base a un protocollo di confine bilaterale del 1986. Ma in quanto parte della Convenzione sui rifugiati del 1951 [5] e del suo Protocollo del 1967 [6], e della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura [7], la Cina è obbligata a non costringere a tornare indietro chiunque sia a rischio di persecuzione o tortura.

Le autorità nordcoreane considerano le partenze dal Paese senza permesso un reato grave. Dal momento che chiunque ritorni in Corea del Nord dopo essere fuggito sarà probabilmente torturato o altrimenti maltrattato, tutti hanno diritto allo status di rifugiato in qualunque paese raggiungano.

Il governo cinese dovrebbe fornire asilo ai nordcoreani in Cina o concedere loro un passaggio sicuro verso la Corea del Sud o un altro paese terzo sicuro. Dovrebbe consentire all’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati di esercitare il proprio mandato e consentire loro di accedere ai rifugiati nordcoreani detenuti.


Traduzione e commento di Giuseppe Manes-Arcipelago laogai :in memoria di Harry Wu

La Cina è ormai una “zona grigia” dove vige la legge di Xi. Egli dispone della vita delle persone facendone l’uso che più ritiene opportuno, in barba a tutti i Trattati Internazionali. Eppure membro permanente dell’ONU, e dei 15 Enti Internazionali delle Nazioni Unite Pechino ne controlla ben quattro: l’Unido, che si occupa di sviluppo industriale; l’Itu, l’organismo per le telecomunicazioni sempre morbido nei confronti di Huawei ; l’Icao, l’ente dell’aviazione civile famoso per la sua politica anti Taiwan e la Fao, che riguarda cibo e agricoltura.(fonte dei dati: Formiche.net). Vedo ancora troppe mani cingere spudoratamente quella di Xi Jinping.


Fonte: Human Rights Watch, 22/07/2021 [8]

Articolo in inglese:

China Restarts Forced Returns of Refugees to North Korea [8]