La Cina condanna a morte anche gli europei

Non accadeva dal 1951 che la Cina condannasse a morte un cittadino di un paese europeo ma purtroppo il Paese di Mao non smette mai di stupire.

E così, nonostante le 27 accorate richieste di clemenza inviate dal governo inglese alla Cina per salvare la vita di Akmal Shaikh - 53enne affetto da disordine bipolare che era stato arrestato nel 2007 dopo essere stato trovato in possesso di una valigia con quattro chili di eroina all’aeroporto di Urumqi, nel nordovest della Cina - la Corte Suprema ha confermato la sentenza di morte, applicandola questa notte.

Il premier britannico Gordon Brown ha condannato “nel modo più assoluto” l’esecuzione capitale di Shaikh dichiarandosi “scandalizzato e deluso che le nostre richieste insistenti di clemenza non siano state esaudite”.

Da parte sua, la Corte Suprema cinese si è difesa sostenendo in un comunicato che i diritti dell’imputato - al quale è stato comunicato solo all’ultimo che sarebbe stato condannato a morte - sono stati “pienamente rispettati” durante il processo. Una lavata di mani in più per il Paese che commina ed esegue il maggior numero di condanne a morte del mondo, prevedendola per ben 68 reati tra cui detenzione di sostanze stupefacente, capo di imputazione per Akmal Shaikh.

A nulla è servita la testimonianza dei familiari che, spiegando quale fosse la malattia di Akmal, hanno tentato di spiegare alle autorità cinesi come la sua infermità mentale ne avesse fatto una facile preda per un gruppo di trafficanti. Nessuna clemenza, nessuno strappo alla regola neanche per salvare la vita di un cittadino europeo e per evitare lo scontro diplomatico con la Gran Bretagna che fino a ieri aveva fatto presente all’ambasciatore cinese a Londra, Fu Ying, come fosse “inopportuno nel mondo moderno” mandare a morte un uomo con problemi mentali.

La portavoce del ministero degli Esteri cinesi, Jiang Yu ha sostenuto in una conferenza stampa che “la giustizia cinese è indipendente” e che “si tratta di un caso individuale che spero non danneggi le relazioni tra Cina e Gran Bretagna”. Difficile a dirsi.

Emanuela Mei

Fonte: Agenzia Radicale, 29 dicembre 2009

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