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Il mondo intero ha bisogno di Nelson Mandela

Le ore passano per la vita di Nelson Mandela. Le ultime notizie non sono buone. Le sue condizioni sono critiche. I medici di terapia intensiva hanno declassato la loro diagnosi di «stabile ma grave». I membri della sua famiglia potrebbero avergli fatto le loro ultime visite lo scorso fine settimana.

L’ex attivista politico novantaquattrenne diventato prigioniero per poi essere eletto presidente, è affetto dai problemi della sua età e da una malattia polmonare che ha contratto in carcere, che lo ha indebolito. Ha sfidato i più scettici riuscendo a vivere fino ad ora, ma nessuno vive per sempre.

La sua voce è ferma, ma sembra che tutto il mondo stia piangendo per lui. Una nota cantante sudafricana mi ha detto che in una recente visita in Spagna le è stato chiesto più volte come stesse. Non c’è dubbio che il «magico Madiba» che ha commosso il Sudafrica abbia toccato anche il mondo, un mondo che ha sostenuto la lotta del suo Paese per la libertà.

Ha detto quello che doveva dire e ha fatto quello che doveva fare. La sua eredità è solida, in parte a causa dell’integrità e del sacrificio per i quali era conosciuto. Ha trasceso i limiti razziali e ha mostrato al mondo che un movimento popolare giusto e ben organizzato non può essere negato.

Il movimento che ha aiutato a costruire aveva quattro raggi—organizzazione delle masse nei comuni, un esercito di guerriglieri addestrati residenti fuori dal Paese, iniziative diplomatiche presso le Nazioni Unite e una radicata campagna di solidarietà internazionale. L’attivismo «Mandela libero» ha ispirato sanzioni economiche, nonché boicottaggi culturali e delle banche per fare pressione sul regime dell’apartheid e sui suoi molti sostenitori all’estero.

Molti in Sud Africa sono pronti a lasciarlo andare, ma alcuni nella comunità bianca che non lo hanno mai sostenuto temono ora un’ondata di rappresaglia e di recriminazione da un popolo, che nella sua maggioranza, vive una vita di apartheid economico con tutti ancora troppo poveri e senza lavoro.

Gli scenari di una sventura imminente possono interessare solo una frangia minoritaria, mentre altri giornalisti dibattono e discutono sulla vita dopo Mandela. AlJazeera riferisce che i media sono pronti per la veglia funebre.

«I giornalisti locali e internazionali hanno trascorso la giornata al di fuori dei due ingressi per l’ospedale di Pretoria dove si crede sia ricoverato Mandela. Delle guardie di sicurezza sono state inviate agli ingressi. Più di dieci furgoni televisivi erano lì. Alcuni giornalisti avevano eretto piccole tende e altri avevano dei generatori. Dei passanti si sono fermati per chiedere di Mandela».

Tutta l’attenzione è rivolta all’uomo e alla sua condizione, ma che altro si può dire su ciò che non ha potuto realizzare a causa, in parte, delle pressioni dell’élite ricca che controlla ancora l’economia del Paese? Mandela ha trionfato politicamente, ma economicamente era ovviamente limitato da potenti forze egoiste.

Mandela ha già confessato alcuni suoi difetti personali e ha sempre detto che non era un santo o un salvatore; Justin McCarthy, editorialista del quotidiano sudafricano Daily Maverick, ha parlato delle aspettative che non sono state soddisfatte.

«Chiunque creda che Madiba sia senza peccato è estremamente ingenuo. A un certo punto ogni leader è costretto al compromesso – le decisioni difficili devono essere fatte e queste possono entrare in conflitto con i propri ideali, ma servono al corpo collettivo che si rappresenta. Questi scontri ideologici sono comuni, ma non significa necessariamente che uno tradisce la propria integrità. È proprio per questa acuta integrità che Madiba mostrava in ogni occasione, che è stato chiamato a prendere posizioni difficili… In termini semplici, ha sempre dimostrato le sue teorie con i fatti».

Sì, ha sempre dimostrato le sue teorie con i fatti—come descritto nel suo libro «Lungo cammino verso la libertà»—ma lungo la strada sembrava più abile nel fronteggiare i suoi nemici pubblici tra i suprematisti Afrikaner che i guardiani dell’economia che hanno governato il Paese dall’oscurità e hanno giocato una partita molto più seducente.

Ronnie Kasrils, che ha combattuto in un movimento clandestino sotto il comando di Mandela ed è diventato il ministro dell’Intelligence, ha appena scritto una nuova introduzione per la sua autobiografia Armed and Dangerous [Armato e pericoloso, ndt].

Solleva questioni circa il ruolo di Mandela nel sostenere le politiche economiche conservatrici neo-liberali che hanno reso impossibile al suo Governo di onorare il suo impegno di porre fine alla povertà.

«La storia giudicherà se abbiamo perso un’occasione d’oro per continuare ad andare avanti allora, piuttosto che aver fatto le concessioni che abbiamo fatto per quanto riguarda il controllo economico – scrive – Il fatto che Mandela ed i suoi consiglieri economici abbiano ceduto alla pressione del Fmi e del business aziendale per seguire una via economica “prudente” è diventata una questione discutibile… Non voglio con questo essere egoista. Ero colpevole come gli altri nell’essermi concentrato sulle mie responsabilità e sul portafoglio di Governo lasciando le questioni economiche agli esperti dell’Anc».

Questo mea-culpa e le domande che esso pone verranno probabilmente sepolte nell’effusione del lutto e nei tributi che seguiranno la morte di un uomo che tutti chiamano Madiba, il nome da clan, o “Tata” (padre).

Era il padre della democrazia sudafricana e un combattente visionario per la libertà che ha saputo ispirare sostenitori e nemici. È stato il collante simbolico che ha mantenuto il suo Paese unito, almeno agli occhi del mondo, nonostante le difficoltà economiche e la corruzione disilludano molti dei suoi più ferventi sostenitori.

Il Sud Africa che Mandela ha immaginato e per il quale ha combattuto ha cambiato radicalmente l’ambiente, diminuendo l’intensità della guerra razziale che ha costituito una minaccia per tanti anni e, pur non avendo trasformato tutte le disuguaglianze strutturali, ciò ha portato a un Governo democratico con la costituzione, forse il più avanzato nel mondo nel difendere i diritti umani.

Come leader, Mandela ha assunto cause impopolari, è diventato un sostenitore globale per i malati di Aids e ha parlato a favore del disarmo nucleare e contro la guerra in Iraq. Il suo appello morale potrebbe essere stato più forte della sua capacità di raggiungere tutti i suoi obiettivi politici. È stato onorato da quasi ogni nazione del mondo per la sua integrità e la volontà di esprimere le sue convinzioni.

Ora sembra chiaramente appartenere a un’altra epoca. A differenza del presidente Obama che sta affrontando un amaro disincanto e delle critiche da quelli che una volta erano i suoi sostenitori più entusiasti, non c’è stata alcuna reazione simile contro Mandela.

La sua eredità come liberatore è assicurata—non solo come una celebrità che è famosa per essere famosa. Mandela stesso ha frequentemente chiesto di non essere considerato come un santo o un salvatore. Ha confessato i suoi difetti, tra cui maschilismo e il non passare abbastanza tempo con la sua famiglia. Un assiduo credente nella «leadership collettiva», egli accredita i suoi compagni e il suo movimento per i successi che ha avuto.

Il mondo acclama Mandela, ma l’opinione pubblica sul leader che afferma di essersi ispirato a lui è cambiata. Barack Obama, che è stato paragonato da alcuni al leader sudafricano, potrebbe essere il bersaglio di proteste diffuse durante la sua visita in Sud Africa.

Nel suo primo viaggio ha visitato Robben Island, la prigione in cui Mandela venne rinchiuso per 18 anni come “terrorista”. Obama ha lasciato il Paese promettendo di chiudere Guantanamo, la cosa più simile a quel carcere. Deve ancora farlo.

Se si terrà un funerale, sicuramente presenzierà in prima fila, ma senza il passato o l’amorevole rispetto di cui Mandela ha goduto. I due possono condividere un pigmento ma non una visione politica.

Alcuni anni fa ho fatto un reportage sulla visita di Mandela alla Casa Bianca nella sua ultima visita negli Stati Uniti per uno dei sette documentari che ho fatto sulla sua vita—un vero privilegio. Bill Clinton è stato acclamato quando ha detto, con le lacrime agli occhi, «nel nostro giorno migliore tutti noi vorremmo essere Nelson Mandela».

The Epoch Times Italia, 28 Giugno 2013

English Version:

http://www.theepochtimes.com/n3/135978-whole-world-crying-out-for-nelson-mandela/ [1]