Il monaco che si è tolta la vita a Ragya, nell’Amdo, per protestare contro l’occupazione cinese
di Giovanni Vuono
Il monaco si chiama Tashi Sangpo e il suo sacrificio estremo che per un monaco buddista ha significato davvero estremo, deve essere motivo di riflessione.
Una su tutti.
Prendere ferma posizione nei confronti del governo tibetano che media al ribasso e svende il Tibet e i Tibetani e quindi dichiarare con convinzione il nostro totale appoggio a chi il Tibet appartiene di fatto: ai Tibetani in Tibet! E non a un gruppuscolo di politicanti che si barcamenano senza concludere un bel nulla.
Dobbiamo chiederci quali sono i reali interessi di questa classe dirigente che gioca sulla pelle di un popolo che di fatto non rappresenta!
Il diritto a rappresentare i Tibetani (e preciso che mi riferisco ai 5 milioni in Tibet e non ai 130 mila in esilio) non è dato sicuramente dal meeting di Novembre scorso dove hanno sventolato 16 mila pareri favorevoli di tibetani in Tibet che dichiaravano il loro appoggio alla, ormai chiara a tutti fallimentare, “Via di Mezzo” il cui mezzo, appunto, non è più tale da anni ma totalmente spostato dalla parte cinese.
Prendiamo posizione contro questo Governo Tibetano in Esilio che deve smetterla di giocare con gli stessi tibetani in esilio e con i supporters di mezzo mondo utilizzando la persona del Dalai Lama per porre sotto il giogo del ricatto devozionale e del rispetto la scelta di stare con lui o contro di lui, di essere per la libertà totale del Tibet o per questa fantomatica autonomia che i cinesi hanno dichiarato fuori discussione né più e né meno come la medesima possibilità indipendentista.
Questo Governo deve smetterla di rintuzzare e di ovattare ogni minima dichiarazione forte del Dalai Lama stesso per non irritare la Cina o peggio per mascherare la propria fallimentare gestione politica.
Che i colloqui con la Cina fossero stati assolutamente inconcludenti lo si sapeva, ma abbiamo dovuto attendere che lo dicesse Sua Santità, perché “lor signori” li hanno sempre definiti “very candid” , “piccoli ma importanti passi avanti”…
Ma dove? Ma quando?
E che il Tibet è un inferno e che la Cina lo ha reso tale, anche questo si sapeva…
E purtroppo il Governo di Samdhong Rinpoche non lo ha mai ammesso.
Cosa significa?
Forse che, soffermandoci alle parole di questi ultimi giorni del sempre più losco Primo Ministro, poiché la “questione tibetana è un affare interno alla Repubblica Popolare Cinese”, la Cina ne può disporre come meglio le pare? Anche trasformare il Tibet in un inferno ancora peggiore di quello che è diventato?
Amici, è giunta l’ora di prendere davvero coscienza e di alzare il tiro mirando al cuore del problema.
Manifestiamo il nostro dissenso contro questo Governo.
Appoggiamo e stimoliamo le organizzazioni che si oppongono e che hanno dovuto attendere anni prima che venisse loro riconosciuto uno status politico seppure minoritario oltre che di posizione opposta e diversa.
Ma cerchiamo anche di contrastare in termini di idea, di opinione e di azione la spocchia della prepotenza cinese che avanza addirittura la pretesa (e vi invito a dare un’occhiata alle news su www.giotibet.com) di avere migliorato i diritti umani in Tibet, come ha dichiarato nell’ambasciata cinese di Washington una pseudo delegazione di tibetani venduti, e di salvaguardare la cultura tibetana come reclamizzano propagandisticamente attraverso il sito di Radio Cina International!
Amici diamoci da fare con forza e determinazione!
Non lasciamo che il sacrificio oggi di questo eroico monaco e di tanti tibetani che quotidianamente con la forza della convinzione dell’idea e della verità affrontano l’indubbio dispari confronto con l’oppressore cinese.
Siamo con i Tibetani e soprattutto con i Tibetani in Tibet disposti anche a morire per la libertà della propria terra.
Ora più che mai il Tibet deve essere dei Tibetani e di nessun altro!
Fuori la Cina dal Tibet!
(In basso Ashi Sangpo, ventotto anni, residente nel monastero di Golok Ragya, nella contea di Machen, provincia del Qinghai, si è tolto la vita gettandosi nel fiume Machu)
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