Gorbachov: “Vent’anni fa ero a Pechino non dimenticherò mai quei ragazzi”
ROMA - “Sì, io c’ero. Ero a Pechino in quei giorni gravi. Non potrò mai dimenticare il dolore che leggevo sul volto di Zhao Ziyang, né le facce stanche e gli occhi pieni di speranza degli studenti che mi venivano vicino, sorridenti, e dicevano “perestrojka, perestrojka”. Era il loro modo di chiedere aiuto, ma io non potevo fare nulla”. Vent’anni dopo, per la prima volta, Mikhail Gorbaciov racconta i retroscena del suo viaggio a Pechino, tra il 15 e il 17 maggio del 1989: l’importanza di quella sua visita dopo tanti anni di rivalità tra i due giganti comunisti; il silenzio dei dirigenti cinesi; i suoi contatti con i giovani che proprio dalle sue riforme avevano tratto coraggio e ora speravano fortissimamente nel suo aiuto; il suo dolore per l’epilogo tragico.
Mikhail Sergeevic, con quale stato d’animo affrontò il viaggio a Pechino?
“Si trattava, per noi, di un viaggio storico. Dovevamo chiudere la lunga parentesi di ostilità tra Russia e Cina, durata oltre trent’anni. Lo volevamo noi, a Mosca. E lo volevano anche i nostri amici cinesi. Non esistevano due persone più adatte ad affrontare questo nodo di Gorbaciov e Deng Xiaoping. Così cominciammo le consultazioni”.
All’epoca gli esperti dicevano che uno dei problemi più gravi era quello del regolamento delle frontiere.
“Ma figuriamoci. Sapete quanto erano lunghe le frontiere tra Urss e Cina? Mezzo mondo. Piccole scaramucce qua e là potevano sempre essere ricomposte. Decidemmo a pié pari di scorporare quel problema: troppo complesso, ne avremmo parlato in seguito. Ma poiché anche i cinesi erano molto interessati, trovare l’accordo fu gioco facile. Ci furono molte consultazioni. A un certo punto, durante un viaggio di Stato, Li Peng fece scalo a Mosca per rifornire il suo aereo, e ci incontrammo. Fu un colloquio lungo, in cui parlammo di tutto: lui conosceva benissimo il russo, perché aveva studiato da noi. Ricordo che mi disse: “Compagno Gorbaciov, la Cina però non accetterà mai di fare il fratello minore”. “Ma come sarebbe possibile”, gli risposi io “che un Paese cresciuto ormai oltre il miliardo di cittadini possa fare il nostro fratello minore?”. Alla fine fu stabilita una data, 16 e 17 maggio 1989. In quel momento nessuno poteva immaginare quel che sarebbe accaduto in quei giorni”.
Quando cominciarono ad arrivare le prime notizie delle manifestazioni di Pechino, come reagirono i membri del Politburo?
“Le prime notizie parlavano, sì, di manifestazioni di massa, però sembrava tutto di dimensioni contenute. Ci consultammo tra di noi, nel Politburo, e decidemmo che non era il caso di rinviare la visita. Non era possibile ipotizzare quello che avrei trovato al mio arrivo: io arrivai nel momento più duro della rivolta”.
Che misure presero i dirigenti cinesi per evitare imbarazzi?
“Il programma ufficiale fu mantenuto. Noi stavamo all’interno del Palazzo del popolo, col Politburo. Facevamo le nostre trattative, ci servivano la colazione, ci riunivamo per il pranzo. E intanto, in quelle stesse ore, fuori della finestra c’era il finimondo. In piazza c’era la Cina. Centinaia di migliaia di persone, non solo studenti, chiedevano un incontro. Speravano che Gorbaciov, arrivato da Mosca con la sua perestrojka, potesse influire sulle decisioni del governo. Ma io non potevo”.
Non ne parlò con i leader cinesi?
“Ero molto colpito. Molto solidale. Ma ero in Cina per una visita ufficiale, di Stato, ed è del tutto evidente che non potevo intervenire. Dovevano decidere i dirigenti cinesi. I problemi erano arrivati a un punto da non poter più essere ignorati”.
Proprio Repubblica, in quei giorni, scrisse che in città circolava il racconto dell’auto di Gorbaciov bloccata, mentre correva nel quartiere Jing Song, dagli operai che cercavano Li Peng. Nella leggenda pechinese, che però non ha mai trovato riscontro, lei scende subito a parlare col popolo, interroga e risponde alle domande, stringe le mani sorridendo e prima di andarsene distribuisce caramelle.
“È vero che incontrai i ragazzi. Un giorno, mentre ci muovevamo in macchina scortati dalla polizia, ho visto un gruppo di studenti e operai. Erano riusciti ad avvicinarsi tanto che l’auto fu costretta a fermarsi. Io aprii subito la portiera e uscii fuori. Erano molto affettuosi. Sorridenti. Avevano i visi stanchi, gli occhi rossi. Capii che volevano spiegarmi il perché della loro protesta, che erano lì per la democrazia, la libertà. “Perestrojka”, dicevano. Ma io ho cercato di non approfondire. Mi rendevo perfettamente conto della delicatezza della situazione. E anche delle difficoltà della dirigenza cinese. Avevo ricevuto moltissime lettere, commoventi, dagli studenti. Lettere e biglietti che ancora conservo”.
Ma se la città era invasa dalla folla, come mai lei la incrociò una sola volta?
“Evidentemente, il governo cinese voleva ridurre al minimo i contatti. Un giorno, mentre ci portavano in macchina al Palazzo, mi resi conto che eravamo finiti in periferia. Un percorso alternativo, fuori mano. Ma noi abbiamo chiuso gli occhi, lasciando che fossero loro a decidere. Dietro tutto questo c’era il supremo interesse del mio Paese di ristabilire le relazioni bilaterali. Di questa normalizzazione avevamo bisogno noi, ne aveva bisogno la Cina e, io dico, ne aveva bisogno il mondo. Non abbiamo però potuto tacere del tutto. Fui costretto a dire, durante la conferenza stampa, di sperare e di essere certo che i leader cinesi sarebbero riusciti a trovare in sé la saggezza per fare la scelta migliore”.
Si fa fatica ad immaginare che in quella situazione così drammatica, con la piazza in subbuglio, tutto il mondo con gli occhi puntati, essendo evidente che lei non poteva ignorare ciò che stava accadendo, nessuno dei dirigenti cinesi abbia voluto dire nulla.
“Ci accolsero nel migliore dei modi, con immenso calore, amicizia. Certo, erano ben coscienti del fatto che noi non solo sapevamo tutto, ma continuavamo a ricevere richieste di aiuto dalla piazza. Tuttavia direttamente, durante i colloqui, non dissero mai niente. Non potrò mai dimenticare Zhao Ziyang. La sofferenza si leggeva sul suo viso. Il giorno in cui ci accolse in qualità di segretario del Partito comunista cinese non riusciva a nascondere il peso insostenibile che aveva nel cuore. Sembrava che potesse avere un infarto da un momento all’altro. Il colloquio durò ore e ore, forse cinque, se non ricordo male. Bevemmo insieme litri di vodka. Non so se abbia avuto la tentazione di aprirsi di più. Disse solo che c’erano dei problemi da risolvere. No, è chiaro: non volevano coinvolgerci direttamente”.
Cosa pensò quando seppe che Zhao era stato rimosso e emarginato, dopo aver cercato di evitare il bagno di sangue?
“Pensai che non era la decisione migliore. Ma stiamo parlando della Cina. All’interno della classe dirigente in quei giorni ci fu uno scontro. Poi Deng accolse il punto di vista di Li Peng”.
Si disse che la dirigenza cinese temeva un “effetto Gorbaciov”.
“È possibile. Ma ci tennero a dimostrarmi grande amicizia. Subito dopo Pechino, andammo per tre giorni a Shanghai. Il sindaco allora era Jang Zemin. Ci portarono a vedere le prime zone economiche speciali. Pranzammo insieme, lui cantava le canzoni russe e io gli facevo il controcanto. Anche lui parlava bene russo, aveva studiato da noi in gioventù”.
Qualcuno scrisse che la tragedia della Tienanmen fu in qualche modo un monito per lei, che mai volle usare la forza in Russia.
“No, questo è falso. C’erano state già molte situazioni simili da noi. Rivolte nazionali e dispute territoriali. Io avevo già fatto la mia scelta”.
Secondo lei fu la rivolta cinese a dare il via ai sommovimenti del 1989, che finì col crollo del Muro di Berlino?
“Io credo che, sì, tutto cominciò quell’anno, con la perestrojka che iniziava a segnare la svolta e la decisione di creare a Mosca un vero Parlamento espresso attraverso vere elezioni. Fu una scossa che fece tremare il mondo e poi si fermò nel punto di partenza, due anni dopo, col crollo dell’Urss”.
di FIAMMETTA CUCURNIA
da Repubblica
(31 maggio 2009)
Articoli correlati:
Condividi:

Condizioni di utilizzo - Terms of use |
---|
Potete liberamente stampare e far circolare tutti gli articoli pubblicati su LAOGAI RESEARCH FOUNDATION, ma per favore citate la fonte. |
Feel free to copy and share all article on LAOGAI RESEARCH FOUNDATION, but please quote the source. |
![]() Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 3.0 Internazionale. |