Giustizia per il Tibet e “giurisprudenza universale”
Il presidente del C.A.T. (Comite de Apoyo al Tibet), Alan Cantos, è tra i principali attori nelle cause intentate presso la Corte Suprema Spagnola contro i leader cinesi accusati di genocidio e altri gravi crimini contro l’umanità.
Alan Cantos ha intrapreso una serie di azioni legali contro i leader cinesi davanti alla Corte Suprema di Madrid. In un’intervista a Voice of America (Washington DC), pubblicata su you tube, spiega come sia possibile ottenere giustizia, a livello internazionale, superando la passività e le pastoie diplomatiche che non consentono ai cittadini di ottenerla attraverso i governi che hanno eletto.
Innanzi tutto egli spiega che, grazie a diverse convenzioni internazionali, gli Stati possono vantare giurisdizione penale nei confronti degli individui i cui presunti crimini sono considerati crimini contro l’umanità (come il genocidio), indipendentemente dalla competenza territoriale in cui detti crimini sono stati commessi. Grazie a questo principio, a suo tempo, Pinochet fu condannato e arrestato: le forze dell’ordine dipendono direttamente dall’autorità giudiziaria. Perciò, laddove i principi democratici dello Stato di diritto e della separazione dei poteri sono sostanzialmente applicati, indipendentemente dall’azione politica e diplomatica dei Governi, potrebbe essere spiccato e attuato un mandato di cattura internazionale anche nei confronti dei leader cinesi responsabili di sessant’anni di violenze, soprusi, torture e deportazioni forzate ai danni dei Tibetani.
In secondo luogo egli rileva come la giustizia non sia da confondere con la vendetta: anche se all’atto pratico non sarà possibile punire i suddetti responsabili, sarebbe comunque una strepitosa vittoria della giustizia se questi fossero condannati a livello internazionale, per crimini contro l’umanità.
Inoltre è già un evento importante - che va a colmare la sete di giustizia insita nel cuore umano - che decine e decine di tibetani in esilio possano recarsi davanti a un giudice togato per testimoniare sui crimini subiti da loro stessi e dai loro familiari.
L’iter è lungo, laborioso e dispendioso. Già nel 2010 abbiamo riportato la delusione per una sentenza di rigetto pronunciata a suo tempo dalla Corte. Ma Cantos e i suoi hanno perseverato ed ora la questione è di nuovo nelle mani dei giudici spagnoli. La Corte già ha accettato come “prova storica” il fatto che il Tibet è uno Stato che subisce l’occupazione dell’invasore cinese dal ’50. Già questa è stata una vittoria.
Sarebbe veramente un grande passo avanti per la giustizia e per la verità se Cantos e i suoi ottenessero una sentenza di condanna. E chissà: potrebbe essere un precedente per altre Corti occidentali e un monito pesante per i dittatori di Pechino.
FRP
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