Disputa territoriale nel Mar Cinese Meridionale: “è nostro, lo indica il nome”, reclama la Cina
Un nome è garanzia sufficiente per legittimare il reclamo su una proprietà territoriale. O almeno così sembrano pensarla le autorità di Pechino, mentre proseguono, contrariamente a quanto annunciato in Agosto, le attività di insediamento militare nella contesa regione del Mare Cinese Meridionale.
Ad offrire quest’originale, quanto insostenibile, interpretazione è il vice Ammiraglio Cinese Yuan Yubai ad una conferenza sulla sicurezza marittima tenutasi lunedì 14 settembre a Londra, dove il comandante, ignorando ogni formalità diplomatica del caso, ha apertamente rivendicato la proprietà della regione. “Il Mar Cinese del Sud, come indica il nome, è una zona di mare. Ed appartiene alla Cina”, ha detto Yubai - attualmente in carica nella Flotta del Mare del Nord della Marina dell’Esercito di Liberazione Popolare cinese - specificando che la zona è stata di proprietà della Cina sin dai tempi della dinastia Han, che governò dal 206 a.C. al 220 d.C.
La scarsità argomentativa con cui il vice Ammiraglio ha reclamato la sovranità sull’area in disputa tra altri cinque governi concorrenti della regione – Taiwan, Vietnam, Malesia, Brunei e Filippine – riflette, in parte, un diritto di possesso che Pechino si è già da tempo arrogata intensificando la propria presenza militare nel Mare Cinese Meridionale.
Nonostante quanto dichiarato agli in inizi di Agosto – quando il ministro degli Esteri cinese Wang Yi aveva ufficialmente dichiarato che Pechino avrebbe interrotto la rivendicazione delle terre – il Governo Cinese sembra proseguire imperterrito le attività di costruzione di isole artificiale nell’area, ed ad equipaggiarle con attrezzature militari.
Secondo le foto satellitari raccolte martedì dal Center for Strategi and International Studies (CSIS), Pechino sembra stia preparando nuovi insediamenti militari nella Subi e Michief Reef - due zone di secca, una volta sommerse, nell’arcipelago di Spratly, su cui si intende ora costruire - replicando le iniziative analoghe già portate avanti nella Fiery Cross Reef – dove, in Aprile, la Airbus Defense and Space aveva già individuato la costruzione di un primo insediamento. La CSIS riporta che la base militare locata nella Subi Reef è già dotata, oltre ad una struttura militare ed un eliporto, di una pista d’atterraggio di 3000 metri, mentre lo stanziamento nella Mischief Reef, ancora in fase di espansione, presenta due strutture militari ed una diga marina.
“Quando il Governo Cinese ha dichiarato di aver in gran parte terminato i lavori”, riferendosi alle opere di militarizzazione della regione, “chiaramente non avevano finito”, ha detto provocatoriamente, in conversazione con il Washington Post, Michael J. Green - vice presidente del CSIS ed ex direttore al Consiglio di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti sotto la presidenza di G.W. Bush – considerando il proseguimento delle opere di insediamento militare “una sfida alla Casa Bianca”.
Nel frattempo - mentre il portavoce del Pentagono, il Comandante Bill Urban, ha assicurato che continueranno ad “osservare la situazione molto da vicino” - non sembrano essere pervenute ulteriori dichiarazioni da parte del Vice Ammiraglio Cinese Yuan Yubai a specificare se intenderanno espandere il proprio controllo militare anche sulle aree del Mare Cinese Orientale - soltanto perchè il nome contiene la parola “Cinese” - oppure, seguendo l’iniziativa di Pechino, anche l’India debba sentirsi legittimata ad avanzare delle pretese territoriali sull’Oceano Indiano.
Fonte: Matteo Stettler, IBTimes.com, 15 sett 15
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