Dalle iniezioni di wasabi alle catene: le torture del campo di Chongqing
Il web continua a rompere le catene. Anche quelle usate nelle prigioni dei campi di lavoro forzato di Chonqing in Cina. Un’infografica - tra le più cliccate e commentate nel network cinese - mostra in sequenza come venivano trattati i prigionieri nel campo di Tie Shanping durante la campagna anticorruzione iniziata da Bo Xilai e il suo capo della polizia Wang Lijun. Nell’arco di tre anni Bo ha decapitato i vertici delle forze dell’ordine e del business di Chongqing, una megalopoli da quasi 30 milioni di abitanti, portando all’arresto di oltre 4 mila persone e a numerose condanne a morte. Una campagna che, secondo l’agenzia Xinhua, aveva suscitato già numerosi dubbi di “gravi violazioni disciplinari”. Uno dei prigionieri del campo è stato l’avvocato Li Zhuang che era andato a Chongqing per difendere un cliente accusato di collusione mafiosa, ma ha finito per essere lui stesso imprigionato per aver indotto il suo cliente a falsa testimonianza. ha passato 18 mesi nelle prigioni di Tie Shanping e una volta uscito ha rivelato di essere stato bloccato su quella che “loro chiamavano la sedie della tigre che è fissata al suolo e ha catene all’altezza del busto”. Dopo la destituzione di Bo e Wang molte delle storie nascoste che avvenivano nelle carceri stanno emergendo in superficie. Il Nanfang Daily ha pubblicato numerosi rapporti sulle azioni di Wang Lijun. L’infografica creata da Tencent News, che si basa su alcune descrizioni di violenze raccontate nei blog, tra cui quello dell’avvocato Li Zhuang, ha avuto più di 5 mila commenti da quando è stata pubblicata. Secondo alcune voci, sono soltanto delle trovate politiche che sfruttano la “disgrazia di Bo Xilai”, in molti sollevano dubbi sull’autenticità dei casi descritti. Iniezioni di wasabi (ravanello giapponese estremamente piccante), doccia di acqua fredda con scariche elettriche, corpi lasciati pendere dalla finestra con catene ai polsi come unico attacco. Circostanze verosimili ma difficili da accertare laddove la verità è usata a seconda di chi è al potere. Considerando il contesto, tuttavia, si potrebbe commentare che, certo o meno che sia, l’importante è che se ne parli.
Roberta Rei
Fonte: Repubblica, 19 dicembre 2012
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