Milano: cittadinanza al Dalai Lama. Messaggio dell’ambasciata e protesta della comunità. Cautela di Sala.
Una giornata complicata quella del 20 ottobre, quando il Dalai Lama riceverà la cittadinanza onoraria di Milano dalla mani del presidente del Consiglio comunale, Lamberto Bertolè. La comunità cinese è in subbuglio. E sicuramente giovedì, davanti agli Arcimboldi, ci sarà una manifestazione di protesta della comunità contro la decisione di Palazzo Marino di dare le chiavi della città a Tenzin Gyatso.
Nei giorni scorsi ci sono stati diversi incontri tra i rappresentanti delle varie associazioni che vivono e lavorano a Milano. L’appuntamento è stato fissato per le 11 e 30 davanti al teatro. Bisogna solo capire in quanti rispenderanno all’appello. Situazione delicata. Al limite dell’incidente diplomatico. Il sindaco Giuseppe Sala ha messo in campo tutte le armi diplomatiche a sua disposizione.
Non sarà lui a consegnare le chiavi della città al Dalai Lama. Sicuramente lo incontrerà, ma in territorio neutro, probabilmente all’aeroporto: «Vedrò il Dalai Lama durante la sua visita a Milano — ha detto il sindaco nei giorni scorsi — non abbiamo ancora deciso dove, ma ci incontreremo». Ma nonostante la prudenza, l’ambasciata cinese a Roma sta facendo circolare un messaggio abbastanza chiaro.
Nessun riferimento diretto alla cittadinanza onoraria del Dalai Lama, ma un lungo saggio dove si ricostruisce la storia recente del Tibet con toni chiaramente apologetici. Si tratta di un articolo firmato da Marco Costa, del Centro Studi Eurasia Mediterraneo. Alcuni passaggi sono illuminanti: «Per quanto riguarda il Tibet sui media occidentali siamo stati bombardati per decenni da falsità imbarazzanti, strumentalizzazioni ipocrite e perfino da goffe ricostruzioni storiche. E nell’opinione pubblica, purtroppo, questo accanimento ha avuto una certa presa, in un surreale clima hollywoodiano in cui il racconto immaginifico della realtà ha finito per soppiantare la realtà stessa».
Molte di queste tesi sono ancora al vaglio critico degli storici. A partire dall’affermazione della «presunta indipendenza tibetana», secondo cui il «Tibet era stato parte dell’Impero Cinese per circa 700 anni». Altre sono destituite di fondamento come quando si scrive che nel «1951 Mao Zedong e le sue truppe completarono il percorso rivoluzionario rientrando pacificamente nella regione». Altre sono vere come quando si racconta che il Dalai Lama lasciò il Tibet nel 1959: «in quell’anno — scrive Costa — sarebbero entrate in vigore le prime riforme economiche del nuovo corso, che si concretizzarono in una vasta riforma agraria mirante alla redistribuzione della terra ai contadini, intaccando così il quasi millenario sistema di servaggio attuato dai ricchi lama locali che — ben distanti dall’ascetismo che qualcuno immagina — avevano sempre retto il loro potere temporale sulla servitù della gleba».
Ci sono passaggi molto più duri e altri che invece descrivono «le magnifiche sorti e progressive» dello sviluppo economico del Tibet grazie alla mano cinese. Ma al di là delle ricostruzioni storiche, il messaggio è chiaro. La cittadinanza onoraria di Milano al Dalai Lama rappresenta un vulnus, non tanto per la comunità cinese della città, quanto per i rapporti diplomatici ad alto livello. Senza dimenticare l’apporto strategico della comunità cinese all’economia cittadina. Proprio sabato scorso, l’assessore alle Attività produttive, Cristina Tajani, partecipando all’assemblea dei giovani di Associna, ha sottolineato che senza l’apporto delle attività cinesi il saldo del tasso di crescita delle imprese «sarebbe negativo». La questione è delicata.
Fonte: Corriere, 18 ott 16
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