Cina: L’autocensura di LinkedIn dimostra le conseguenze del condurre affari in Cina
Joshua Philipp, Epoch Times, 07.06.2014
Quando i siti di social network come Facebook e Twitter sono stati bloccati in Cina nel 2011, l’accesso libero a LinkedIn rimaneva un mistero. Questa settimana, il mistero è stato risolto.
Il 4 giugno, il 25esimo anniversario del massacro di piazza Tiananmen, molti utenti di LinkedIn a Hong Kong hanno ricevuto delle e-mail da parte della società che li informava di come i loro post sul massacro erano stati bloccati.
La censura su LinkedIn era prevedibile. Jeff Weiner, l’amministratore delegato di LinkedIn, aveva annunciato a febbraio che il sito si sarebbe attenuto alle restrizioni del regime cinese. Il suo annuncio è arrivato non appena LinkedIn ha lanciato il suo sito beta [versione di prova, ndt] in cinese semplificato.
Nella foto: Jeff Weiner, l’amministratore delegato di Linkedin: Secondo quanto annuciato da Weiner a febbraio, LinkedIn si sarebbe attenuto alla censura cinese
Il 4 giugno, il mondo è stato testimone delle conseguenze della decisione di LinkedIn, in quanto la società ha censurato i post riguardanti il massacro di piazza Tiananmen in Cina del 1989.
La reazione del pubblico è stata particolarmente forte quando gli utenti a Hong Kong hanno ricevuto le notifiche che li avvertivano della censura dei loro post. Sotto la politica cinese «un Paese, due sistemi», Hong Kong dovrebbe essere fuori dalla portata della censura del Partito Comunista Cinese (Pcc).
Charles Mok, legislatore di Hong Kong, ha ricevuto l’email da LinkedIn che lo informava sulla censura di uno dei suoi post in Cina, dal momento che «conteneva contenuti vietati in Cina».
Mok ha commentato su Twitter: «LinkedIn sostiene apertamente la censura in Cina e dovrebbe essere condannato per tali atti».
Si scopre quindi che l’accordo di LinkedIn con la censura cinese ha due conseguenze: da una parte colpisce le persone in Cina, dall’altra colpisce gli utenti ovunque.
Doug Madey, manager delle comunicazioni aziendali di LinkedIn, ha detto in una dichiarazione: «Stiamo filtrando alcuni contenuti in modo che non possano apparire agli utenti che si trovano all’interno della Cina. Stiamo anche filtrando alcuni contenuti pubblicati dagli utenti all’interno della Cina per non farli apparire all’estero».
Hani Durzy, direttore delle comunicazioni aziendali di LinkedIn, ha riferito in un’intervista telefonica che la società si attiene alla censura della Cina, ma cerca di farlo in modo trasparente, ecco il motivo per cui gli utenti hanno ricevuto le e-mail che li informavano sulla censura dei loro post.
«È una sfida», ha detto «non vogliamo dire che sia facile».
CENSURA ALL’ESTERO
Quello che sta accadendo tra LinkedIn e la Cina non è un caso isolato. È sempre più evidente che fare affari all’interno della Terra di Mezzo significa aderire alla sua censura anche fuori.
A marzo, sotto la pressione della censura cinese, la rivista Reader’s Digest ha rimosso una storia da un’edizione pensata per la pubblicazione in Australia, Nuova Zelanda, Singapore, Malesia e India.
‘Thirst’, la storia dell’autrice australiana L.A Larkin che doveva uscire su Reader’s Digest, menzionava il Falun Gong, un’antica disciplina meditativa diffusa in tutto il mondo e brutalmente perseguitata in Cina dal 1999; le autorità cinesi sono riuscite a censurarla dal momento che la rivista la stava pubblicando all’interno della Cina.
Bloomberg News ha censurato una storia investigativa sulla corruzione tra i leader cinesi: doveva essere stampata fuori dalla Cina nel novembre 2013. Il New York Times ha riportato che la storia era stata bloccata perché c’era la preoccupazione che questa avrebbe potuto compromettere le vendite dei terminali finanziari di Bloomberg in Cina.
Nel mese di febbraio, alcuni resoconti hanno inoltre sostenuto che i risultati di ricerca in lingua cinese sul motore di ricerca di Microsoft Bing venivano censurati per gli utenti negli Stati Uniti. Microsoft ha negato tali affermazioni.
Mentre diverse aziende statunitensi hanno lasciato la Cina a causa dell’ambiente sociale ‒ il ritiro di Google nel 2010 è stato il caso più eclatante ‒ una soluzione al crescente problema deve arrivare fuori dal settore imprenditoriale, secondo quanto affermaGeorges Enderle, docente di etica degli affari internazionali presso l’Università di Notre Dame.
«In Cina, gli affari e le imprese sono molto legati e collegate al Governo», dice Enderle in un’intervista telefonica. «Ciò rende la situazione ancora più complicata. Non è solo una questione di come le singole aziende dovrebbero comportarsi, ma anche della struttura portante e della struttura culturale nel fare affari con integrità».
Il problema si poteva affrontare attraverso l’azione collettiva. Se le aziende avessero rifiutato all’unisono di seguire le esigenze della censura del regime cinese, la situazione poteva essere diversa oggi. Ma questo non è accaduto e quindi il seguire o meno la censura in Cina è determinante al fine di poter condurre affari nel Paese.
Secondo Enderle, perché la situazione attuale possa cambiare «anche i Governi stranieri devono svolgere i loro ruoli, non solo le imprese».
Fonte,Epoch Times, http://www.epochtimes.it/news/l-autocensura-di-linkedin-dimostra-le-conseguenze-del-condurre-affari-in-cina—126444
English version:
LinkedIn Self-Censorship Shows Cost of Doing Business in China
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