Cina, la grande fame di cibo e suolo fra inquinamento e land grabbing
La Cina è ad oggi il Paese più popoloso, e la seconda economia mondiale. Gli ultimi quattro decenni di straordinaria crescita, non solo economica, hanno significato per il Paese soprattutto una cosa: mangiare, tutti e meglio. Tra i risultati più encomiabili, vi è infatti il dimezzamento del tasso di malnutrizione, passato secondo la Fao dal 23,9% del 1990 al 9,3% del 2015.
Ma la terra coltivabile ora non basta più. Il Paese che ospita il 22% della popolazione mondiale possiede appena il 7% delle terre arabili: 335 milioni di ettari. Il dato è ancora più preoccupante se si considera che, secondo le statistiche ufficiali, il 40% di quelle terre è orami reso inservibile dall’erosione del suolo, dalla deforestazione e dall’inquinamento.
Suolo avvelenato
Una lunga ricerca, condotta nell’arco di sette anni dal ministero della Protezione Ambientale e dal ministero della Terra e delle Risorse, ha stimato che pesticidi e metalli pesanti (cadmio, arsenico, piombo e mercurio) abbiano irrimediabilmente compromesso circa un quinto delle terre coltivabili, il 90% delle falde acquifere in prossimità delle metropoli e il 70% dei fiumi e dei laghi. L’avvelenamento di acqua e suolo è grave in particolare tre grandi regioni sviluppate – l’area del Nordest di più antica industrializzazione, il delta del Fiume Azzurro (lo Yangtze), e quello del Fiume delle Perle (Yuè Jiāng).
Per fronteggiare la scarsità di terreni seminativi coltivabili, a partire dalla metà degli anni Duemila la Cina ha iniziato a prendere in affitto o comprare appezzamenti all’estero (questo fenomeno viene definito land grabbing). Ha cominciato nei Paesi limitrofi come il Laos e la Cambogia, velocemente si è allargata in Africa e in Sud America, fino ad arrivare ad acquisire le terre poco popolate della Russia orientale, dell’Ucraina e del Kazakistan, producendo – su terre non sue – granaglie, soia e carne da macello.

Alimentazione sempre più occidentale e importazioni record di cibo
A differenza del recente passato, oggi le metropoli dell’ex Impero sono gonfie di generi alimentari e i ristoranti sono sempre pieni. Si è arrivati al punto che finire tutto quello che si ha nel piatto è considerato sconveniente.
E la domanda continua a salire. Nei primi quattro mesi di quest’anno si è già registrato un incremento del 17% rispetto al medesimo periodo del 2016. Per quanto riguarda la carne di maiale, poi, la Cina consuma addirittura la metà dell’intera produzione mondiale.
Un cambio di rotta necessario
«Come potrà la Cina produrre abbastanza cibo per la sua popolazione, se tutti incominceranno a mangiare come gli americani? La semplice risposta è che non potrà farlo». Così Bloomberg riassume i complessi ed imminenti problemi agricoli e alimentari che il Paese del Dragone si trova a dover affrontare.
Le autorità cinesi stanno forse iniziando a prendere coscienza della necessità di invertire la rotta. Nel corso del 2015 il governo centrale ha stanziato 2,8 miliardi di yuan (430 milioni di dollari) per sostenere progetti anti-inquinamento in 30 capoluoghi. Secondo gli esperti, però, gli sforzi sono ben lontani dall’essere sufficienti: «Anche con metodi di bonifica a buon mercato, ci vorrebbero 300mila yuan per ogni ettaro di terra inquinata da metalli pesanti. Il che significa almeno 6 miliardi nel complesso» afferma Lan Hong, esperto di ecologia dell’Università Renmin. Un altro ricercatore dell’Ateneo, Zhu Shouxian, rileva che «l’inquinamento del suolo è un problema complesso per l’agricoltura e l’industria, e i terreni contaminati non potranno essere recuperati prima di dieci anni».
Per la principale potenza emergente del pianeta, coniugare la persistente ricerca dell’autosufficienza alimentare con la necessità di salvaguardare suolo e ambiente costituirà la grande sfida dei prossimi anni. Sarà pronta a coglierla?
Habitat,23 luglio 2017
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