Cina e Russia non impediranno che l’Iran si doti dell’arma nucleare

Poco prima di recarsi a Mosca dal presidente russo Dimitry “Vladimir” Medvedev, il Premier israeliano Benyamin Netanyahu aveva rilasciato dichiarazioni confortanti riguardo il futuro delle tanto discusse sanzioni all’Iran: «La Russia è un nostro partner e un importante alleato, per questo vogliamo parlare di Iran contro il quale dovrebbero essere imposte sanzioni molto dure. Come ha detto il Segretario di Stato americano Hillary Clinton, ci vogliono sanzioni paralizzanti».

Nethanyau faceva eco al nuovo corso in materia di rapporti con L’Iran virtualmente inaugurato dal Presidente Obama, che ha annunciato sanzioni economiche più dure nei confronti della Repubblica Islamica. Queste sanzioni, per essere davvero efficaci, dovrebbero ottenere il placet di Cina e Russia, che intrattengono da tempo relazioni con il regime e appaiono restie a salire sul carro dei “sanzionatori” per via dei loro legami di tipo commerciale ed economico con Teheran. Secondo Matthew Kroenig, professore di Government alla Georgetown University e autore del libro di prossima uscita Exporting the Bomb: Technology Transfer and the Spread of Nuclear Weapons, quella del coinvolgimento cino-russo sarebbe una falsa certezza condivisa da molti politici occidentali.

La stessa Hillary Clinton la scorsa settimana si era rivolta ai cinesi spiegando che «ci rendiamo conto che ora come ora sembrerebbe controproducente da parte vostra imporre sanzioni a una nazione dalla quale ricevete così tante risorse naturali e dalle quale dipende la vostra economia in via di sviluppo. Ma pensate alle implicazioni di lungo corso implicite in una politica del genere». Un tentativo lodevole, quello di Hillary, ma in realtà, la ragione per cui Mosca e Pechino sembrano da sempre così titubanti a imporre le sanzioni è che le due potenze non condividono il desiderio degli occidentali di un Iran senza bomba atomica. Sempre secondo Kroenig, l’auspicio di Cina e Russia sarebbe esattamente il contrario di quello perseguito dalle nazioni democratiche coinvolte nella ‘corsa al disarmo’. Per Mosca e Pechino un Iran nucleare che sia in grado di ridimensionare il dominio politico militare degli Stati Uniti nella scacchiera mediorientale appare fondamentale dal punto di vista geopolitico. L’acquisizione della bomba atomica da parte di Teheran scatena subito scenari apocalittici, magari una nuova Guerra Fredda o, peggio, una Terza guerra mondiale. In realtà, le implicazioni di breve e lungo termine di un simile evento sarebbero meno roboanti anche se non per questo meno preoccupanti: L’Iran nucleare aprirebbe un nuovo corso nella politica internazionale, stravolgendo una volta per tutte il “balance of power” caro a Morghentau e spostandolo a favore dei cosidetti “Stati Canaglia”.

Professor Kroenig, Lei ha legato la questione del nucleare iraniano al concetto di “balance of power”, l’equilibrio tra le grandi potenze. È vero che non dovremmo preoccuparci più di tanto di un eventuale scenario da “guerra globale”?

Mettiamola così: se l’Iran dovesse acquisire armi nucleari, un eventuale utilizzo di questo arsenale contro Israele, l’Europa, o ogni altra nazione sarebbe estremamente improbabile. Va da sé che questo non significa assolutamente che un eventuale successo del programma nucleare iraniano sia un eventualità da prendere con le molle o rappresenti una minaccia di poco conto. La presenza di armi nucleari in Iran, infatti, comporterebbe una serie di problemi politici e strategici sia per gli Stati Uniti sia per tutto l’Occidente, anche se queste armi non venissero mai utilizzate.

Nel settembre del 2009 il “sestetto” aveva chiesto all’Iran di proseguire nella cooperazione con il Consiglio di Sicurezza dell’Onu e con l’AIEA. Lei, però, ha parlato di un’alleanza tra la Cina e l’Iran sulla questione nucleare. Questo vuol dire che in realtà il sestetto è impotente?

Per rispondere a questa domanda, dobbiamo capire che il punto di vista degli Stati Uniti sulla minaccia della proliferazione nucleare è profondamente diverso da quello di Russia e Cina. Questi due Paesi in realtà non sono così preoccupati del programma nucleare iraniano è sono quindi disposti a fare ben poco per fermare questo progetto. E’ chiaro, quindi, che un qualsiasi tipo di politica volta a fermare il programma nucleare iraniano, e che a tale scopo coinvolga la Cina e la Russia, ha poche chance di successo.

Ma perché, secondo lei, è così difficile per gli Usa trovare alleati fedeli in questa lotta contro un Iran nucleare? E che dire della nuova politica di Obama che ha promesso sanzioni più dure nei confronti di Teheran?

Forse perché la proliferazione nucleare minaccia gli Stati Uniti più di qualsiasi altra nazione al mondo. L’America è una superpotenza globale, con interessi globali, ed è per questo che in ogni parte del pianeta la proliferazione nucleare potrebbe potenzialmente minacciare questi interessi. Invece per quanto riguarda potenze regionali come la Russia, la Cina e le altre nazioni Europee, la proliferazione nucleare in altre regioni (come il Medio Oriente) rappresenterebbe una minaccia meno grave. Ed ecco spiegato anche perché questi poteri regionali in genere sono meno inclini a grossi sacrifici quando si tratta di lavorare contro una simile eventualità. Ovvio pure che un programma di sanzioni il quale preveda la partecipazione di Cina e Russia, seppur auspicato da Obama, è destinato al fallimento.

La bomba nucleare iraniana cambierà l’equilibrio delle potenze una volta per tutte?

Possiamo dire che una bomba nucleare iraniana cambierà senz’altro il balance of power in Medio Oriente e lo sposterà a favore dell’Iran e contro gli Stati Uniti e i suoi alleati occidentali. Anche se chiaramente questo stato di cose avrebbe effetti meno catastrofici di una guerra nucleare, è anche vero che la proliferazione nucleare in Iran causerebbe problemi di non poco conto per la politica estera statunitense e per quella dei suoi alleati. Ecco perché, noi occidentali, dovremmo fare tutto il possibile per impedire l’acquisizione della bomba atomica da parte dell’Iran.

Fonte: Il Legno Storto, 17 febbraio 2010

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