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Cina e India: dovete rafforzare il protocollo di Kyoto

I Paesi in via di sviluppo allontanano la possibilità di ratifica di un nuovo Trattato e puntano a rafforzare il Protocollo di Kyoto. Cina, India, Sudafrica e Brasile chiedono alle nazioni industrializzate di aumentare il taglio delle emissioni dei gas inquinanti al 40 per cento entro il 2020 (rispetto ai dati del 1990).

È questa la prima grande proposta della Conferenza dell’Onu sul clima, che allinea Cina e India alla voce degli scienziati e controattacca la bozza danese che ha suscitato numerose polemiche. Il Protocollo, legalmente in vigore dal 2005, obbliga i Paesi firmatari a ridurre la Co2 del 5 per cento entro il 2012.

Con il documento dei Paesi emergenti lo sforzo dovrà essere otto volte superiore. Inoltre, il testo prevede anche l’inclusione degli Stati Uniti nella fase Kyoto-2, che potrà avere come parametro di riferimento per i tagli dei gas serra il 2005, anziché il 1990. Barack Obama, che tornerà tra una settimana in Europa per partecipare alla fase finale della Conferenza di Copenaghen, invita a essere uniti e, da Oslo, ritirando il Nobel, spiega che «gli scienziati sono ormai concordi sul fatto che se non agiremo vi saranno più siccità, carestie ed emigrazioni di massa che alimenteranno ulteriori conflitti per decenni».

«Per questo motivo non sono soltanto gli scienziati e gli attivisti a chiedere una risposta rapida e robusta - aggiunge Obama - anche i leader militari negli Stati Uniti e in altri paesi sono consapevoli della minaccia esistente sulla nostra sicurezza comune a causa del problema» del riscaldamento del pianeta. Ma al summit in Danimarca è sempre la parte finanziaria il nodo caldo. Si guarda con particolare interesse al Consiglio europeo di Bruxelles che deve decidere un pacchetto di fondi immediati per interventi nei paesi poveri tra il 2010 e il 2012. Per ora sono stati ipotizzati sei miliardi di euro, stanziati in tre anni. E intanto il magnate George Soros da Copenaghen presenta la sua ricetta: le nazioni sviluppate potrebbero investire una parte dei loro 283 miliardi di dollari di diritti speciali di prelievo dell’Fmi in progetti per il taglio delle emissioni nei Paesi emergenti. Progetti che pagherebbero gli interessi sui proposti cento miliardi di dollari da spendere nel prossimo decennio. Le riserve di oro dell’Fmi, secondo Soros, garantirebbero capitale e interessi.

E se da una parte la Cina è tra i protagonisti della «rivolta» climatica assieme ai Paesi a economie emergenti, dall’altra non arresta la sua marcia. Le sue emissioni inquinanti potrebbero più che raddoppiare entro il 2020. L’Agenzia Internazionale dell’Energia (Iea) prevede che nel 2025 Pechino brucerà 4,7 di tonnellate di carbone (4,6 miliardi per il Dipartimento Usa per l’Energia). Cifre nettamente superiori a quelle della cinese National Coal Association, che fissa la domanda di quest’anno a 2,9 miliardi di tonnellate e a 3,8 miliardi nel 2030. Il bilancio, dopo cinque giorni di Conferenza, vede ormai due imponenti schieramenti che faticano a collaborare. Da una parte l’Europa, dall’altra i Paesi in via di sviluppo. In mezzo l’America che può contare solo sull’«arma» della retorica e della sudditanza.

L’accordo politico che si potrà raggiungere potrebbe prendere una doppia via: una reale accelerazione del Protocollo di Kyoto con un prolungamento al 2020, ma con la percentuale di tagli dei gas serra da stabilire, e un accordo di Copenaghen che vede in testa Cina e India con la promessa di vincolarsi tra un anno. Ma le cifre sono ancora celate dietro una nube nera.

Fonte: Il Tempo.it, 11 dicembre 2009