Mentre metà del mondo grida «libertà!» chi poi decide fino in fondo, in base ai criteri della governance mondiale che ci siamo costruiti, sono sempre coloro che la libertà non sanno nemmeno dove stia di casa, ma conoscono benissimo invece l’indirizzo dell’Onu, dove agiscono da padroni ormai da decenni. In questo caso parliamo della Cina che insieme alla Russia, altro Paese che campione di libertà non risulta davvero, è riuscita a influenzare le sanzioni che il Consiglio di sicurezza ha votato per cercare di bloccare la mattanza di Gheddafi. Mentre la vendita di armi è bloccata, bloccati i beni degli otto figli del raìs e bloccati i movimenti di alcuni personaggi vicini a Gheddafi e ritenuti quindi pericolosi, solo dopo molti sforzi sulla Cina si è potuto ottenere che la risoluzione riferirà, come richiesto dai Paesi occidentali, al Procuratore della Corte Penale Internazionale; e a causa della Russia,il testo richiamerà l’articolo 41 che mette fuori giuoco ogni misura che richieda l’uso di forze armate o di interposizione. Ma perché la Cina si impegna per il pazzo di Tripoli proprio mentre sta cadendo? È come la vecchia storia cinese in cui la rana chiede allo scorpione perché la punga mentre la trasporta di là dal fiume. È soltanto perché è uno scorpione, che fare! Con la differenza che la Cina non morirà con la rana, ma continuerà a nuotare nella governance mondiale che mette una della nazioni più prepotenti nel Consiglio di sicurezza che dovrebbe salvaguardare il mondo, e che la dota di un diritto di veto già usato varie volte per difendere delinquenti e dittatori. Il caso più eclatante e ripetuto è quello del Sudan e della sua azione genocida in Darfur: la Cina ha seguitato in piena condanna internazionale del dittatore Bashir a fare vantaggiosi contratti proprio con lui. Ma ancora più grosso è il caso iraniano: la Cina ha salvaguardato col proprio corpo la costruzione del nucleare iraniano cui peraltro ha preso parte. Obama ha intrapreso svariate manche di colloqui con il presidente cinese, a casa propria e a Pechino, per convincerlo ad abbandonare Ahmadinejad e a votare le sanzioni, ma questo è avvenuto soltanto quando si è trovata una formula blanda che poteva convenire alla Cina economicamente e che scaricava il peso economico del gesto sugli al-tri abitanti delPalazzodi Vetro, naturalmente su quelli occidentali. Resta infatti su di noi il peso di azioni aggiuntive unilaterali che rendano le sanzioni efficaci. Morale: le sanzioni sono deboli, affidate a chi se ne fa carico responsabilmente, mentre la Cina seguita i suoi commerci con l’Iran. Insomma, la Cina si contrappone anche nel caso libico per salvaguardare i suoi interessi ma anche per gestire, con la sua contrapposizione agli Usa, un potere mondiale alternativo. Nessuno osa dire alcunché: la Cina siede all’Onu anche nel Consiglio dei Diritti Umani dal 2009 e nel board del nuovo Consiglio per i Diritti delle Donne. Ad entrare nel Consiglio per i Diritti Umani ha aiutato anche la Libia,e peccato che abbia fallito nella mobilitazione internazionale per fare entrare l’Iran in quello per le donne. Peccato, perché ci stava bene un Paese che applichi alle adultere la lapidazione, come ci sta bene nella Commissione per i Diritti Umani un Paese come la Cina che compie circa 6.000 esecuzioni l’anno e che conta 70 reati che prevedono la pena di morte, dalla dissidenza,all’evasione fiscale, al disturbo della quiete pubblica, alla vendita di pelli di panda… Questa è l’Onu:un’organizzazione mondiale che nella Commissione per i Diritti Umani conta un gruppetto formato appunto da molti dei Paesi che sono stati scossi dalle grandi rivoluzioni di questi giorni. L’Egitto ci sedeva fino al 2010, ora ci sono tutti: Libia, Bahrein, Arabia Saudita… È quindi logica e al contempo assai esplicita la spiegazione politica del perché il mondo non si aspettasse affatto un’esplosione di quel tipo. Nessuno ha mai denunciato, suscitando un movimento mondiale, le prepotenze dei dittatori in questi Paesi. Mai la Cina è stata condannata, nemmeno per il Tibet, nemmeno per le persecuzioni degli Uiguri, nemmeno per la strage di Urumqi nello Xinjiang, che pure fu caratterizzata, come l’Onu dovette notare, da «uno straordinario numero di uccisi». E tutti i Paesi islamici insieme ai loro amici «non allineati» sono riusciti a conservare intorno a sé una cortina fumogena colorata da continue condanne del povero Israele, l’unico Paese democratico del Medio Oriente, condannato 27 volte su 33.
In queste ore le autorità cinesi oscurano Internet e bloccano alcune annunciate dimostrazioni nelle loro piazze. Un Paese così forte e ricco non ha paura del dissenso, sa come domarlo: quando il premio Nobel è stato assegnato a Liu Xiaobo l’alto commissario, il capo del Consiglio per i Diritti umani Navy Pillay, ha accampato una scusa qualunque e non è andata alla cerimonia di premiazione. Come tanti altri Paesi del mondo che hanno ormai improntato la politica mondiale all’esercizio della prepotenza. Ma come si è visto in questi giorni, alla fine arriva il conto, e questo conto poi lo dobbiamo pagare tutti. Allora forse conviene rivedere chi siede negli alti scranni che ci fanno diventare, alla fine, tutti quanti sudditi della Cina e della Libia.
Fonte: Il Giornale.it, 28 febbraio 2011