Battaglia legale sulle confische ai cinesi
Prato, inchiesta sul fiume di denaro spedito in Oriente: la Procura sequestra beni per milioni di euro e il caso finisce in Cassazione.
PRATO. Nelle aule di giustizia, da Prato a Firenze e ora anche a Roma, si sta combattendo una guerra silenziosa intorno al procedimento penale nato dall’inchiesta sui money transfer, le operazioni Cian Liu (Fiume di denaro) e Cian Ba (Diga sul fiume), che ipotizzavano la spedizione dall’Italia alla Cina (soprattutto da Prato) di 4,5 miliardi di euro tra il 2006 e il 2010, denaro che secondo la Direzione distrettuale antimafia era frutto di reati, soprattutto evasione fiscale.
La battaglia non è sul procedimento penale, che quasi certamente cadrà in prescrizione per la maggior parte dei 298 indagati e dei reati, quanto sulle misure di prevenzione. Si tratta di sequestri di beni e denaro, finalizzati alla confisca, una strada che da più di due anni sta battendo il sostituto procuratore Tommaso Coletta e che ora è finita in Cassazione.
In realtà queste misure di prevenzione sono diventate la cosa più importante di questa vicenda, perché vanno ad aggredire beni per milioni di euro. Com’è accaduto la scorsa settimana per i tre imprenditori calabresi ai quali la Direzione investigativa antimafia ha sequestrato appartamenti e pizzerie, agli imprenditori cinesi vengono sequestrate quote societarie, auto e beni immobili sul presupposto che hanno la proprietà di beni e un tenore di vita incompatibile coi redditi dichiarati. I reati di cui sono chiamati a rispondere in sede penale (evasione fiscale, riciclaggio e per alcuni associazione a delinquere) non c’entrano: paradossalmente potrebbero essere assolti o prosciolti, ma le confische scatterebbero ugualmente perché in questo caso si rovescia l’onere della prova. Sono loro a dover dimostrare la provenienza lecita di beni e denaro.
All’inizio il Tribunale di Prato ha respinto molte di queste misure di prevenzione, poi la Dda ha vinto un ricorso in Cassazione e i Tribunali di Firenze e Prato hanno cominciato ad accogliere i sequestri.
Nel caso del cinese Yang Xinjao, difeso dagli avvocati Federico Febbo e Costanza Malerba, il Tribunale ha rigettato la richiesta ed è nato un problema di procedura: in base alla lettera della norma, la Procura non avrebbe potuto ricorrere in Cassazione e così la Corte d’appello ha rinviato la questione alle Sezioni unite della Cassazione, che si pronunceranno il 23 febbraio. È una sentenza molto attesa perché le sezioni unite fanno giurisprudenza e perché molti altri sono nella situazione del signor Yang.
«Queste misure di prevenzione secondo me sono una scorciatoia - commenta l’avvocato Febbo - Se fossero così sicuri che è stato commesso un reato potrebbero aspettare l’esito del processo. Proviamo a immaginare che cosa succederebbe se questo principio fosse applicato a tutti quelli che sono sospettati di evadere le tasse». La risposta, che la Procura evidentemente non può dire esplicitamente, è molto semplice: i processi durano troppo.
Il Tirreno ediz. Prato,21 gennaio 2017
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