Atlantic Council accusa la Banca mondiale di finanziare la repressione delle minoranze in Cina

Il rapporto del think tank statunitense elabora le sue conclusioni basandosi su varie fonti. Un nuovo rapporto del think tank statunitense Atlantic Council accusa la Banca mondiale finanziare indirettamente la campagna di repressione degli uiguri e di altre minoranze musulmane nella regione dello Xinjiang, nella Cina nord-occidentale.

Il documento, pubblicato oggi, evidenzia “prove significative” del fatto che diversi beneficiari dei prestiti della Società finanziaria internazionale (Ifc) della Banca mondiale avrebbero “attivamente” contribuito alle campagne di lavoro forzato portata avanti dalla Cina nello Xinjiang. Il rapporto di 69 pagine elabora le sue conclusioni basandosi su varie fonti, tra cui media statali della Repubblica popolare, immagini satellitari e informative societarie.

Nel 2019 l’Ifc ha prestato 40 milioni di dollari a Chenguang Biotech Group, un’azienda produttrice ed esportatrice di estratti vegetali e additivi, allo scopo di supportare il suo fabbisogno di capitale circolante per sei anni. I ricercatori hanno scoperto che gli annunci di lavoro per posizioni amministrative nella consociata controllata da Chenguang, la Xinjiang Chenxi Pepper Industry, sarebbero stati rivolti esclusivamente a persone di “etnia Han”. La società avrebbe inoltre costruito impianti nella contea meridionale di Yarkant “con l’intento specifico di ‘reclutare i lavoratori indigenti attraverso programmi di riduzione della povertà promossi dallo Stato”. Questa modalità di reclutamento della manodopera, precisa il rapporto, nascondeva tuttavia “incarichi coercitivi”, che spesso prevedevano l’assegnazione forzata delle persone bisognose a lavori con basso salario.

Camel Group Co, uno dei maggiori produttori cinesi di batterie e fornitore di Volkswagen, Ford, Audi e General Motors, ha ricevuto un prestito da 81 milioni di dollari da Ifc nel 2019 per costruire impianti di riciclaggio e aggiornare gli stabilimenti esistenti nello Xinjiang. I ricercatori hanno scoperto che i lavoratori uiguri reclutati da Camel attraverso il programma di riduzione della povertà ricevevano “un addestramento militare e ideologico”: erano costretti a “cantare canzoni patriottiche e imparare la lingua cinese” in quella che veniva presentata come una formazione obbligatoria al lavoro. Sulla base di tali evidenze, i ricercatori hanno invitato Banca mondiale al disimpegno dalla regione e i politici europei hanno fatto eco a questa richiesta.

“La Banca mondiale esiste per sostenere lo sviluppo globale, non per finanziare la schiavitù moderna. Non ci possono essere altre scuse. Devono disinvestire immediatamente da queste società legate agli abusi e al lavoro forzato”, ha affermato Samuel Cogolati, un parlamentare belga che è stato sanzionato dalla Cina nel 2021 per aver promosso un dibattito sul presunto genocidio nello Xinjiang all’interno del parlamento federale. Dello stesso tenore è una lettera inviata al presidente della Banca mondiale, David Malpass, da 20 legislatori europei e nordamericani membri dell’Associazione interparlamentare sulla Cina (Ipac), una coalizione che sostiene “l’adozione di una postura più rigida verso il Partito comunista cinese”.

La Cina, dal canto suo, ha sempre respinto le accuse di violazioni e genocidio ai danni delle minoranze etniche come “la menzogna del secolo”, fabbricata dalle forze ostili al Paese per ostacolarne lo sviluppo. Tuttavia, a partire dal 2017, le testimonianze di vittime ed ufficiali circa l’esistenza di “campi di internamento” volti alla “rieducazione” delle minoranze si sono moltiplicate in seno alla comunità internazionale. Amnesty International ne ha raccolte alcune nel rapporto “Cina: ‘Come nemici in guerra’. Internamento di massa, tortura e persecuzione contro i musulmani dello Xinjiang”. Oltre 50 testimoni hanno riferito di aver subito varie forme di maltrattamenti, che comprendevano pestaggi, torture con scariche elettriche e privazione di cibo, acqua e sonno. A conclusioni simili giunge il rapporto presentato a dicembre da un gruppo di avvocati di Londra ed esperti di diritto, che hanno accusato la Cina di “genocidio” contro gli uiguri dello Xinjiang.

Il Tribunale degli uiguri ha formalmente stabilito che i funzionari cinesi “hanno inteso distruggere una parte significativa” della minoranza musulmana uigura attuando una vera e propria pulizia etnica. Il verdetto ha inoltre attribuito al presidente Xi Jinping e ad altri funzionari del Partito comunista cinese la “responsabilità primaria” delle repressioni nella regione. Il rapporto non è sfuggito all’attenzione delle Nazioni Unite, che lo hanno definito “profondamente inquietante”. A seguito della diffusione del documento, il portavoce dell’Ufficio Onu per i diritti umani, Rupert Colville, non aveva dimostrato particolare stupore nei confronti di tali conclusioni, affermando che gli investigatori dell’Ufficio avevano “pure identificato modelli di detenzione arbitraria e maltrattamenti nelle istituzioni, pratiche di lavoro coercitive e un’erosione dei diritti sociali e culturali in generale”.

Il dossier Xinjiang potrebbe tuttavia arrivare ad un’importante svolta con la visita nella regione dell’Alta commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani, Michelle Bachelet, formalmente autorizzata da Pechino dopo le olimpiadi. A confermare la visita di Bachelet dopo anni di richieste mai accolte è stato il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Zhao Lijian, secondo cui Pechino avrebbe esteso l’invito alla funzionaria “molto tempo fa”. “Lo scopo della visita è quello di promuovere lo scambio e la cooperazione”, ha chiarito Zhao, riaffermando l’opposizione di Pechino a qualsivoglia strumentalizzazione politica del viaggio.

Le osservazioni di Zhao seguono un’indiscrezione diffusa in precedenza dal “South China Morning Post”, secondo cui la visita di Bachelet dovrebbe avvenire “nella prima metà dell’anno, dopo le Olimpiadi invernali di Pechino” del 4-20 febbraio. Pechino avrebbe autorizzato la visita dopo alcuni cicli di colloqui con la funzionaria e il segretario generale Onu, Antonio Guterres, ponendo un’unica condizione per l’accesso alla regione: l’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani avrebbe dovuto posticipare la pubblicazione di un rapporto sullo Xinjiang dopo le Olimpiadi.

Fonte: Nova News, 16/02/2022

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Articolo in inglese, SCMP:

World Bank accused of ‘funding campaign of repression’ in Xinjiang

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