‘‘Zhong Guo Renmin Zhan Qi Lai”- Il Popolo Cinese si è alzato’’

1° Ottobre 1949 – Mao Tsedong, alla porta Tien’anmen della città proibita dell’ex palazzo imperiale di Pechino, proclama la Repubblica Popolare Cinese.

La storia. Al termine della seconda guerra mondiale e a causa dell’occupazione giapponese di alcuni territori, la Cina si ritrova tra le potenze vincitrici. La tragica guerra civile tra le forze nazionaliste e l’armata rossa, unitesi per breve tempo per combattere i nipponici che occupano militarmente vaste aree della Cina fin dal 1931, si scatena di nuovo fino alla presa del potere da parte delle forze comuniste su tutto il resto del vecchio impero e alla ritirata del 1949 dei resti dell’esercito sconfitto di Chiang Kai-shek nell’isola di Formosa.

La storia dei 60 anni del comunismo del più grande e antico paese dell’Asia inizia già con il 1° gennaio 1921, anno della fondazione del Partito comunista cinese (PCC) sotto il diretto influsso della rivoluzione sovietica. Nello stesso anno nasceva il Partito comunista italiano e altri partiti comunisti europei per scissione dai partiti socialisti. Il disegno espansionista rivela fin dall’inizio i suoi connotati di imperialismo ideologico su scala mondiale; la rivoluzione non conosce frontiere. La bandiera rossa ha appena iniziato a sventolare sul Cremlino che la propaganda rivoluzionaria sovietica si espande in Asia e in Europa proclamando la liberazione dei popoli per mezzo del marxismo materialista e ateo, il quale già è una giovane realtà di successo nel “paradiso sovietico”. La liberazione dei poveri e degli oppressi non è più un sogno. La vecchia classe dominante dei padroni, al potere da sempre grazie alla complicità della religione, è il nemico del popolo da abbattere. Consiglieri sovietici vengono prestati alla Cina per sperimentare su larga scala la sovietizzazione della millenaria civiltà.
La storia di questi 60 anni della Repubblica Popolare Cinese costituirà un’enorme mole di lavoro per gli storici. Soltanto dopo il collasso del regime totalitario si potrà finalmente far luce sullo spaventoso numero di vittime, sulle atrocità e le ingiustizie subite dai suoi potenziali oppositori e sulle spietate restrizioni e le inumane sofferenze che hanno dovuto sopportare intere generazioni di cinesi.
Il dominio del Partito Comunista Cinese, come in tutti gli altri paesi comunisti del mondo, non ha potuto mantenersi se non con la violenza ed il controllo assoluto di ogni singolo cittadino, fino nei suoi più reconditi pensieri e stati d’animo. Ma non solo, il potere non sarebbe in grado di sopravvivere se venisse a mancare un generale consenso. Una propaganda martellante e continuata ha provveduto a condizionare le menti, plagiandole fino a convincere una buona parte della gente di essere felice di essere governata dal miglior sistema di potere possibile, il governo del popolo, nonostante l’oppressione, l’indigenza e lo stato praticamente di schiavitù in cui versa la maggioranza dei cinesi.
L’Unione Sovietica è crollata dopo 72 anni. Dopo 60 anni il comunismo in Cina non è ancora collassato, forse perché negli ultimi 15 anni si è dato una svolta capitalista mai sperimentata nella storia dei paesi comunisti del mondo. La vita in Cina è cambiata per molti comunisti di nome, ma di fatto trasformatisi in padroni di manodopera sottopagata, in capitalisti senza scrupoli e in proprietari di enormi ricchezze. Tanti altri in Cina hanno tratto vantaggio dal sistema neo-capitalista, un tempo combattuto come un crimine. Il loro stile di vita e i loro redditi non si discostano molto dagli standard del benessere occidentale. Comunista non è più una voce riferita al tipo di economia (il che era invece era il punto di partenza della teoria marxista), ma è rimasta come caratterizzante un sistema antidemocratico, totalitario, repressivo della libertà di espressione e sprezzante dei più elementari diritti umani.
La Cina tiene oggi in pugno le sorti dell’economia mondiale, condizionando pesantemente il mercato mondiale e la libera informazione. Nessun paese ormai può più permettersi di sfidare apertamente il gigante, come abbiamo potuto constatare in occasione delle olimpiadi cinesi. Tutti i paesi hanno partecipato senza obiezioni, mentre i commentatori sui nostri mass media convenivano nel presentare in modo edulcorato una Cina libera e democratica; una sorta di dimostrazione di come il comunismo possieda in realtà quegli elementi che gli consentono l’attuale evoluzione positiva per il raggiungimento di un reale benessere e giustizia sociale. Un messaggio che confermerebbe il giudizio ormai omologato sul comunismo: una buona teoria che, purtroppo, in molti casi è degenerata per degli errori umani, dai quali però è possibile trarre misure correttive per realizzare finalmente il sogno di molti. Alla luce di questa teoria, i misfatti passati e recenti del regime cinese vengono nascosti, sminuiti, considerati mali necessari o comunque peccati veniali. In sede di olimpiadi è stato più volte dichiarato che non bisognava discutere circa le violazioni dei diritti umani, le sentenze capitali, le torture, gli aborti forzati per chi desidera avere più di un figlio, i laogai (campi o fabbriche di lavoro forzato), la condizione di schiavitù di decine di milioni di operai e l’espianto violento degli organi dai condannati a morte per il redditizio commercio dei trapianti. Ma che bisognava invece sostenere gli sforzi ed i progressi del regime con lungimiranza e tolleranza. Questa sorprendente resurrezione del mito comunista, retaggio di quel capolavoro unico che è stata la propaganda rossa, è sostenuta dal neo-materialismo ateo, edonista e consumista che permea sempre più la cultura e la comunicazione globale.

Giuliano Rossi

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